Per sua stessa ammissione, solo adesso Cesare Cremonini è finalmente diventato quello che voleva essere. E per arrivare fin qua ci ha impiegato 15 anni, 6 album in studio (uno con i Lùnapop e cinque da solista), più un live e una raccolta. Oggi Cesare è semplicemente la più grande (l’unica?) pop star italiana, dove il termine pop è evidentemente usato nella concezione più nobile possibile, senza nulla togliere a chi riempie gli stadi quando lui deve invece “accontentarsi” del Dallarino di Casalecchio: non è (solo) San Siro a misurare la grandezza di un artista, non lo è assolutamente in termini di qualità. Oggi la crescita esponenziale di Cesare come autore, musicista, interprete e performer (compreso un netto miglioramento delle sue qualità vocali) è ormai inesorabile album dopo album, e se è vero come sostiene lui stesso che Logico non è un punto di arrivo ma piuttosto il tanto agognato punto di partenza attorno al quale definire la propria identità di artista, nei prossimi anni dovremmo aspettarne delle belle.
Cremonini si è impossessato a colpi di talento di quella vasta fetta dell’universo musicale di cui da un lato fa parte tutto quel mondo poetico e intimista che la scuola cantautorale italiana ha ormai lasciato deserto, anche per ovvie ragioni anagrafiche, dall’altro abbraccia il pop più moderno, elettrico ed elettronico, vario e mai uguale a se stesso. La maniacale ricerca sonora, oltre al songwriting ispirato e originale, è infatti la cifra stilistica di Cesare: il suo suono è internazionale, moderno e godibile e una parte di questo merito, almeno negli ultimi anni, va condiviso con il deus ex machina del suo sound, l’uomo che nell’ombra manovra synth, tastiere e arrangiamenti d’orchestra: l’ottimo Alessandro Magnanini.
Il fatto è che oggi Cesare può permettersi di fare quello che gli pare. Può permettersi di scrivere delle hit clamorose senza nemmeno rendersene conto (alzi la mano chi non ha storto la bocca al primissimo ascolto di Logico #1) e vederla stabilmente in vetta all’airplay radiofonico per quattro mesi senza nemmeno averne prodotto il video. Può evitare con eleganza tutti i festival-ammucchiata estivi e declinare nobilmente gli inviti per le varie ospitate televisive (la prima giusto una settimana fa in un programma di nicchia come X Factor). Può duettare con il neo-presidente del Bologna Joe Tacopina, maglia rossoblù addosso, per chiedergli di riportare i felsinei ai fasti di “quando Baggio giocava ancora”. Può salire sul palco con la chitarra a tracolla nella migliore tradizione rock, senza tuttavia scimmiottare il ruolo della rock star, non ne ha certo bisogno, consapevole che ciò che la sua credibilità gli consente va ben oltre il volume della Fender.
Per questo Cesare voleva che il concerto nella sua Bologna, in mezzo alla sua gente e con gli amici di sempre, fosse uno spettacolo unico: una sola data nonostante il fulmineo sold-out, una cavalcata tra ricordi e luoghi che hanno segnato la sua crescita e la sua carriera. E non si è certamente risparmiato, allestendo una sorta di greatest hits con la presenza di soli cinque brani dell’ultimo album. Bastano le prime note di Logico #1 in un turbinio di laser per scatenare la folla fin dall’inizio del concerto, che continua a ballare con le seguenti Dicono di me e Padre/Madre, quando lo sguardo corre verso i genitori di Cesare presenti in tribuna.
La meravigliosa Fare e disfare, sempre da Logico, concede un momento più intimo e intenso alla platea, con un finale travolgente affidato alla tromba di Marco Tamburini, ma poi il set riprende subito vigore con un tuffo nel precedente album La teoria dei colori: è qua che Cesare imbraccia per la prima volta la chitarra duettando sull’inciso di Stupido a chi? con la sua corista Roberta Montanari creando un simpatico effetto ottico sui due maxischermi ora scoperti, per poi proseguire con Il comico (Sai che risate) che nasce sotterranea per poi esplodere in tutta la sua potenza, subito doppiata da una tiratissima Non ti amo più. Mentre un altro capolavoro da cantare a squarciagola col pubblico, La nuova stella di Broadway, chiude questo primo set dedicato al 2012 e tra raggi laser, suoni e folla urlante sembra davvero di essere al Madison Square Garden. New York, New York….
Una versione minimalista di Latin Lover conduce a un altro pezzo tratto dal nuovo album: Vent’anni per sempre è l’ironica presa d’atto che a un certo punto bisogna decidersi a crescere anche se, dice Cesare, invecchiare è una scelta poco intelligente. E forse il suo segreto è proprio questo: continuare a crescere professionalmente senza dimenticare quel ragazzino con degli strani capelli a strisce rosse che è rimasto e che rimarrà legato per sempre alla sua Bologna. “Non si può avere vent’anni per sempre ma ci sono canzoni che hanno vent’anni e dureranno per sempre – dice – questa per esempio ne ha diciotto”. E non a caso, quasi a evidenziare questo filo conduttore, il brano che segue è 50 Special e qui siamo al divertimento puro: non c’è una persona delle 13 mila presenti che non canti e batta le mani. Peraltro a tempo. Bravi.
Come non è affatto casuale la dedica a Lucio Dalla della bellissima e struggente Io e Anna, ancora tratta da Logico. Anche Anna e il suo Marco sono cresciuti, nemmeno loro possono avere vent’anni per sempre e l’amore più spensierato cui bastava trovare una moto per andare in città a ballare, ora è bloccato nel traffico in tangenziale. Cesare interpreta un Marco delicato e appassionato che implora la sua Anna di provare a fidarsi ancora di lui, ma come rimandano le immagini sugli schermi ormai Anna è da un’altra parte, in un altro bar, e il caffè che hanno davanti a sé non è lo stesso. Un Cremonini maturo e disincantato come non mai, un omaggio meraviglioso. Châpeau, solo Cesare poteva.
Il momento intimista prosegue con Il primo bacio sulla luna che fa da preludio al set acustico: Cesare siede al pianoforte, posizionato su uno dei due finger che allungano il palco in mezzo al pubblico e riempiendo perfettamente la scena con solo voce e piano regala un’intensa Figlio di un re e a seguire l’allegra Una come te, entrambe con il puntuale contrappunto della tromba di Tamburini. Per la delicata e poetica Vieni a vedere perché invece si avvale della sola collaborazione del pubblico che gli fa da coro su ogni strofa.
Dopo il momento acustico, la scaletta riprende il suo climax verso la conclusione: dapprima la scarica di adrenalina e ritmo di Mondo con il contributo di Jovanotti via maxischermo, poi la splendida Marmellata #25 con addosso la maglia del Bologna dopo la gag con Tacopina e per il lungo e bellissimo finale strumentale Cesare torna al pianoforte, da dove poi intona Le sei e ventisei, che invece comincia voce e piano e finisce in modo corale. Il gran finale è ovviamente affidato a GreyGoose con l’arena che esplode nuovamente per l’ennesima volta.
Resta solo il tempo per i due bis, I Love You e Un giorno migliore, un altro regalo ripescato dall’epopea dei Lùnapop, quasi a voler ribadire che anche se non ha più vent’anni quel ragazzo divertente e divertito con quegli strani capelli a righe rosse è sempre in mezzo a noi. Solo più maturo e più consapevole del proprio talento.