Archivio mensile:Aprile 2015

Negrita live. Pace, amore e gioia infinita.

Pau durante il concerto di Casalecchio

Pau durante il concerto di Casalecchio

La misura della crescita dei Negrita negli ultimi anni la dà la lunga lista di brani storici non presenti nella scaletta della seconda tappa del tour di promozione del loro ultimo album 9, attualmente nella Top 5 della FIMI dopo il debutto direttamente al numero uno. D’altra parte dopo oltre vent’anni di carriera il repertorio della band aretina è talmente vasto che l’ovvia e insindacabile scelta di dare spazio ai nuovi brani comporta necessariamente tagli dolorosi.

Non che i ragazzi si risparmino sul palco dell’Unipol Arena di Casalecchio, tutt’altro: due ore di show, ventitré brani suonati tra vecchi successi e novità, una scarica di energia rock con pochi orpelli, sonori e visivi, poco spazio per le ballate e tante chitarre graffianti. Pau è il solito splendido, incredibile, animale da palcoscenico, di gran lunga il miglior frontman nel panorama musicale italiano: canta, balla, salta, corre, parla, scherza, intrattiene, emoziona. Drigo invece ha l’aria di uno capitato lì per caso ma quando attacca i suoi riff killer si capisce che l’energia è tutta nel plettro, mentre Mac lo asseconda con la sua ritmica a formare quel suono ruvido e onesto che è la cifra stilistica della band. Completano la formazione Ghando alle tastiere, Cris alla batteria e l’ultimo arrivato Giacomo (Rossetti) al basso.

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1992. La cronaca del nostro fallimento civile

Stefano Accorsi e Miriam Leone in una sequenza della fiction

Stefano Accorsi e Miriam Leone in una sequenza della fiction

Lo sdoganamento della fiction televisiva seriale, va detto, risale ormai a diversi anni fa. Ancora una volta furono le grandi case di produzione americane ad intuire le potenzialità delle serie, applicando teorie e tecniche del linguaggio cinematografico al mezzo televisivo. Prodotti come Desperate Housewives o Lost (entrambi del 2004) avevano già portato alla serialità una dignità impensabile per gli omologhi degli anni ’70 e ’80 come Dallas o Dynasty, pur dignitosi per l’epoca.

Ma è stato in anni più recenti che le serie televisive hanno trovato una propria collocazione non solo nei palinsesti dei principali canali (più spesso a pagamento, talvolta anche sui generalisti), ma anche un proprio ruolo all’interno di quel grande e vario contenitore che è l’arte cinematografica. Tanto da ricevere un riconoscimento ufficiale dal Festival del Cinema di Berlino che proprio quest’anno ha inaugurato la sezione dedicata alle serie TV.

Registi di culto come Quentin Tarantino (E.R. e C.S.I.) o autrici d’essai come Agnieszka Holland (Rosemary’s Baby e House of Cards) vengono chiamati a dirigere puntate delle serie più amate; premi Oscar come Kevin Spacey o Golden Globe come Robin Wright duellano in bravura in House of Cards. D’altra parte la durata di una serie permette agli attori di andare in profondità nella caratterizzazione dei personaggi, cosa che le sole due ore di un film non consentono. Se poi si tratta di attore di grande spessore successo, non corrono certo il rischio di restare per sempre legati al proprio personaggio.

In questo solco si inserisce di diritto la nuova serie di Sky Atlantic 1992, realizzata dalla Wildside, probabilmente la prima produzione italiana che approccia il mondo della fiction seriale con questo respiro internazionale (non a caso è in onda contemporaneamente anche in Inghilterra, Irlanda, Germania e Austria) e con questa malcelata ambizione di competere con il grande cinema. D’altra parte riassumere in un solo film tutte le vicende dell’anno che cambiò per sempre l’Italia non sarebbe stata impresa semplice neppure per il miglior regista hollywoodiano.

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