Lo sdoganamento della fiction televisiva seriale, va detto, risale ormai a diversi anni fa. Ancora una volta furono le grandi case di produzione americane ad intuire le potenzialità delle serie, applicando teorie e tecniche del linguaggio cinematografico al mezzo televisivo. Prodotti come Desperate Housewives o Lost (entrambi del 2004) avevano già portato alla serialità una dignità impensabile per gli omologhi degli anni ’70 e ’80 come Dallas o Dynasty, pur dignitosi per l’epoca.
Ma è stato in anni più recenti che le serie televisive hanno trovato una propria collocazione non solo nei palinsesti dei principali canali (più spesso a pagamento, talvolta anche sui generalisti), ma anche un proprio ruolo all’interno di quel grande e vario contenitore che è l’arte cinematografica. Tanto da ricevere un riconoscimento ufficiale dal Festival del Cinema di Berlino che proprio quest’anno ha inaugurato la sezione dedicata alle serie TV.
Registi di culto come Quentin Tarantino (E.R. e C.S.I.) o autrici d’essai come Agnieszka Holland (Rosemary’s Baby e House of Cards) vengono chiamati a dirigere puntate delle serie più amate; premi Oscar come Kevin Spacey o Golden Globe come Robin Wright duellano in bravura in House of Cards. D’altra parte la durata di una serie permette agli attori di andare in profondità nella caratterizzazione dei personaggi, cosa che le sole due ore di un film non consentono. Se poi si tratta di attore di grande spessore successo, non corrono certo il rischio di restare per sempre legati al proprio personaggio.
In questo solco si inserisce di diritto la nuova serie di Sky Atlantic 1992, realizzata dalla Wildside, probabilmente la prima produzione italiana che approccia il mondo della fiction seriale con questo respiro internazionale (non a caso è in onda contemporaneamente anche in Inghilterra, Irlanda, Germania e Austria) e con questa malcelata ambizione di competere con il grande cinema. D’altra parte riassumere in un solo film tutte le vicende dell’anno che cambiò per sempre l’Italia non sarebbe stata impresa semplice neppure per il miglior regista hollywoodiano.
A maggior ragione se pensiamo che la serie non è la mera trasposizione degli eventi, per lo più drammatici, che caratterizzarono quella stagione (le picconate e poi le dimissioni improvvise di Cossiga, l’avvio dell’inchiesta Mani Pulite, le elezioni politiche con il primo exploit della Lega Nord, l’impasse sul nome del nuovo Presidente della Repubblica, le stragi di Capaci e Via D’Amelio che in qualche modo forzarono l’elezione di Scalfaro, la caduta di Craxi, la diffusione del virus HIV), ma innesta le vicende di sei personaggi del tutto inventati nel brodo di coltura dei fatti di quell’anno. Vicende che apparentemente distanti, rivelano invece ben presto il loro intreccio.
Un’operazione tutt’altro che semplice e a tratti spiazzante (prova ne sia un recente commento di uno dei protagonisti reali, Mario Segni, che ha dimostrato di non avere capito nulla della serie), ma perfettamente riuscita. Il certosino lavoro degli sceneggiatori, l’ottima regia di Giuseppe Gagliardi, l’utilizzo di location riconoscibili e istituzionali (dalla Camera al Pirellone) e il perfetto legame tra i fatti reali e le vicende di finzione contribuiscono a dare una connotazione iperrealistica a storie inventate. La serie diventa quindi non solo una straordinaria opera di arte cinematografica, ma anche un viaggio nella cronaca e nella vita di quell’anno, perfettamente ricreato da scenografie, costumi e dettagli dell’epoca.
Ecco allora Leonardo Notte (Stefano Accorsi), un cinico e spregiudicato consulente di Publitalia, diventare il motore che porterà alla nascita dei club Forza Italia e infine alla discesa in campo di Silvio Berlusconi due anni dopo. Notte ha però qualcosa da nascondere e un poliziotto della procura, Rocco Venturi (Alessandro Roja) ne approfitta per ricattarlo. In procura insieme con Venturi, c’è Luca Pastore (Domenico Diele), un giovane poliziotto idealista che entra nel pool di Mani Pulite più che altro per cercare vendetta contro un imprenditore con pochi scrupoli, Michele Mainaghi, che ritiene responsabile della sua sieropositività avendogli la sua azienda trasferito del sangue infetto. La figlia di Mainaghi è Beatrice (Tea Falco) che viene sedotta da Pastore nel tentativo di entrare nella casa del suo nemico alla ricerca di prove della sua corruzione, ma è anche oggetto del desiderio di Venturi, che non perde occasione per decantarne la bellezza.
L’amante di Mainaghi è invece Veronica Castello (Miriam Leone), un’aspirante showgirl disposta a tutto pur di avere il suo momento di gloria in televisione. Sia ad accettare compromessi con l’attempato imprenditore, sia a concedersi allo stesso Notte di cui però rischia seriamente di innamorarsi. Infine Pietro Bosco (Guido Caprino) è un reduce della prima guerra del golfo senza arte né parte, che inganna il tempo tra partite di rugby e bevute di birra. Entra in scena proprio approcciando Veronica Castello in un ristorante, dalla quale viene prontamente respinto, tornando a vagare in attesa del suo momento. Momento che arriva quando salva la moglie di un notabile leghista dall’assalto di due immigrati, diventando così un eroe della Lega Nord e venendo catapultato in Parlamento con le elezioni del 6 aprile.
Intorno a loro ruotano personaggi reali con cui hanno in qualche modo a che fare: l’intero pool Mani Pulite (Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli), i politici Umberto Bossi, Oscar Luigi Scalfaro e Mario Segni (che in recenti commenti si è distinto per non aver capito nulla della fiction), manager come Marcello Dell’Utri. Sullo sfondo i protagonisti assoluti di quella stagione: da una parte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dall’altra Silvio Berlusconi, Bettino Craxi e le ragazze di Non È La Rai. In qualche modo le icone di un’epoca.