Lo avevano annunciato subito dopo il trionfale tour del 2013, immortalato in nel memorabile DVD Live at Rome Olympic Stadium: dopo due album dedicati alla sperimentazione di suoni nuovi (sinfonici in The Resistance, elettronici in The 2nd Law) i Muse sarebbero tornati back to basics, cioè al suono essenziale chitarre (tante), basso (mai così poco distorto) e batteria (mai così potente). Per farlo si sono affidati alla coproduzione di uno che di quei suoni ne mastica un po’: Robert John “Mutt” Lange, già produttore di capolavori dell’hard rock come Highway To Hell e Back To Black degli AC/DC, che affianca Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dom Howard dietro alla consolle.
Quello che non cambia è l’approccio al progetto in termini di concept album, tanto caro a Bellamy che trova inesauribili fonti di ispirazione (da 1984 di George Orwell e alla sua teoria del Grande Fratello alla seconda legge della termodinamica come metafora dell’insostenibilità del sistema in cui viviamo) ma che alla fine torna sempre a farsi risucchiare nelle pieghe delle teorie del complotto e della lotta per la liberazione contro subdoli e malvagi oppressori. Le tesi di fondo del lavoro, mai come in questo caso dal chiaro approccio socio-politico, sono due: la prima è la feroce polemica sull’utilizzo dei droni come strumento di distruzione a distanza che deresponsabilizza chi distrattamente schiaccia un bottone dal caldo della propria stanza, la seconda è la trasformazione degli stessi uomini in droni umani, programmabili e programmati come strumenti di morte, grazie al lavaggio del cervello e del controllo mentale, altra ossessione cara a Bellamy.
Per la prima volta, quindi, Drones è un album concettuale a tutti gli effetti, in cui si snoda la vicenda di un uomo solo apparentemente vivo (Dead Inside) in quanto trasformato in uno strumento di morte grazie al lavaggio del cervello (Psycho), che nonostante la sua inascoltata richiesta di pietà (Mercy) diventa uno dei mietitori di cadaveri (Reapers) nelle mani dei mandanti (The Handler) dell’autorità costituita. Ma che già alla fine del pezzo inizia la sua lotta interiore per liberarsi dal controllo dell’oppressore: “Non vi lascerò più controllare i miei sentimenti, non farò più quello che mi viene detto, non ho più paura di camminare da solo, lasciatemi andare, lasciatemi stare, sto scappando dalla vostra presa, non mi possederete mai più”.