Parlare di consapevolezza, di self confidence, di maturità quando si parla di una band attiva da quasi vent’anni e ai vertici mondiali da almeno un decennio può suonare strano se non assurdo. Eppure l’impressione che si ha lasciando l’ippodromo delle Capannelle dove i Muse hanno tenuto il loro unico concerto italiano nell’ambito del festival Rock In Roma è proprio quella che siano cresciuti, cresciuti insieme con il loro pubblico. Un pubblico composto e ordinato come raramente si trova tra i fan del rock, impassibile (o quasi) nelle lunghissime ore di attesa sotto il sole cocente fino a che non è finalmente sceso sotto al palco posizionato strategicamente verso ovest, paziente nel tollerare l’ora abbondante di ritardo con cui si presenta sul palco la band di Teignmouth, generoso nell’applaudire l’ottimo opening act, i londinesi Nothing But Thieves di cui sentiremo parlare ancora.
Ma soprattutto un pubblico partecipe, rumoroso pur nella sua compostezza, che ha regalato allo show quel tocco in più di scenografia che l’allestimento basico del festival aveva tolto dal solito usuale spettacolo di luci e colori cui ci hanno abituato Matt Bellamy e compagni. La scelta di presenziare a tutti i principali festival estivi piuttosto che portare in giro il proprio tour significa essenzialmente questo: scalette più brevi e più concentrate sulla carriera invece che sull’ultimo, fortunato, album Drones; allestimenti basici e poco spazio per i voli di fantasia; la musica rimessa al centro con pochi orpelli, come ci insegna proprio la svolta back to basics dell’ultimo lavoro.