Difficile commentare il megaconcerto di Luciano Ligabue a Campo Volo prescindendo dalle considerazioni legate all’evento più che al concerto: numeri da record, afflusso da record, durata da record, allestimento da record, polemiche da record. Un paio di aspetti devono quindi essere chiariti subito: si è trattato della grande celebrazione di massa di un ego smisurato? Certamente sì, è stato anche questo. D’altra parte chi sceglie di salire su un palco e sottoporre la propria musica al giudizio del pubblico lo fa sognando esattamente quel momento, come spiega ottimamente lo stesso Ligabue nel manifesto Tra palco e realtà (“Abbiamo un ego da far vedere ad uno bravo davvero un bel po’”).
Valeva la pena paralizzare per una settimana un quarto di una piccola città di provincia per realizzare uno spettacolo di questa portata che ha praticamente raddoppiato il numero di abitanti di Reggio Emilia per una sera? Ancora una volta sì. E non tanto, prosaicamente, per il semplice indotto economico che l’evento ha inevitabilmente generato, ma proprio per l’evento in sé. Una grande festa, un bellissimo spettacolo, uno show che ha portato non solo Ligabue ma l’intera città sotto i riflettori delle televisioni, sulle prime pagine dei giornali, tra le onde d’etere delle radio. Indubbiamente i disagi per i cittadini di Reggio potevano e dovevano essere gestiti meglio, ma qui si esula dalle competenze e dalle responsabilità di una macchina organizzativa che per quanto riguarda quello che è successo dentro all’arena di Campo Volo è stata impeccabile.
Sgombrato il campo da questi dubbi, non resto che lo show, bellissimo. Il megaschermo collabora, senza essere invasivo, alla perfetta riuscita dello spettacolo, rilanciando per il 90 % le immagini del palco (a beneficio di chi proprio non può vederlo), talvolta creando giochi e frame tra il palco, la folla e le immagini dei vecchi videoclip. E non resta che la musica. Tanta. Tantissima. Infinita. 40 canzoni, 3 ore e 40 minuti di concerto con solo due brevi pause per il cambio palco tra le tre band che hanno accompagnato Luciano lungo il percorso attraverso tre diverse epoche della sua vita e della sua carriera. Come era ampiamente annunciato, infatti, in occasione del venticinquesimo anniversario del suo primo omonimo album, Ligabue lo ha suonato integralmente con la band di allora, i Clan Destino. Allo stesso modo ha eseguito per intero Buon compleanno Elvis, che invece compiva vent’anni, con La Banda che lo accompagnava nel 1995.
E così, dopo la presentazione del primo gruppo, mentre sul megaschermo di 780 metri quadri (indispensabile per chi non è tra i fortunati delle primissime file) passano le immagini dei mondiali di calcio del ’90 e di altri avvenimenti dell’epoca, non può essere che Balliamo sul mondo, la prima hit del cantautore di Correggio, ad aprire il set. La scaletta poi prosegue rispettando pedissequamente la tracklist di Ligabue e rispettando soprattutto gli arrangiamenti originali. Così Non è tempo per noi, per la prima volta viene suonata nella versione album con il banjo di Anchise Bolchi sugli scudi (già nel primo tour veniva proposta nell’arrangiamento rock ballad in uso oggi) e lo stesso accade per Piccola stella senza cielo, con le citazioni di Riders On The Storm, Knockin’ On Heaven’s Door, See Me Feel Me, Because The Night e Gloria che erano tipiche proprio di quel primo tour.
Ovviamente non tutti i brani all’epoca furono dei successi come Bambolina e barracuda, Marlon Brando è sempre lui, Sogni di rock’n’roll o Bar Mario. E così Luciano si scusa per alcune canzoni che hanno avuto meno fortuna (lo farà ancora per alcune tracce di Buon compleanno Elvis come La forza della banda) a cominciare da Radio Radianti, una sempre attuale polemica nei confronti delle radio di plastica che imperversano nell’FM, che chissà quanto avranno apprezzato quelli di RTL 102.5, partner dell’evento). Citazione speciale per la meravigliosa Angelo della nebbia, incredibilmente nostra, incredibilmente padana, incredibilmente in linea con il mood dei 150 mila di Campo Volo anche se, per fortuna, questa sera di nebbia non ce n’è neanche l’ombra.
Il tempo di cambiare il set e le immagini di un 1995 insanguinato, la guerra in Jugoslavia su tutto, introducono alla seconda parte del concerto dedicata a La Banda e a Buon compleanno Elvis, l’album che segnò la definitiva consacrazione di Ligabue dopo il periodo non fortunatissimo che seguì il folgorante esordio. E il caratteristico pattern di batteria che dà l’avvio a Vivo morto o X mi riporta al primo concerto di Ligabue visto al palasport di Parma, vent’anni fa, nella tournée successiva alla pubblicazione dell’album. Un album pervaso da tutto il pensiero e da tutte le fonti di ispirazione di Luciano: Elvis Presley e l’America ovviamente, ma anche il legame profondo con la sua terra, i suoi suoni e i suoi sapori (Seduto in riva al fosso, il divertente intermezzo Rane a Rubiera blues), il rapporto complicato con lo star system (Non dovete badare al cantante e la già citata La forza della banda), quello ancora più controverso con la spiritualità (Il cielo è vuoto o il cielo è pieno e soprattutto la sempre potente Hai un momento, Dio?), il suo sguardo attento sulle donne, nel bene (Viva!) e nel male (Quella che non sei).
E dovendo fissare due momenti del secondo set, non si può non citare i due brani simbolo di questo album, veri riassunti dell’intera poetica di Ligabue e agili manualetti per interpretare questo mondo padano ed emiliano che tanto ci assomiglia. E se di Certe Notti l’immagine più bella rimane quella della coppia un po’ agé che approfitta del tempo in 6/8 (stretto parente del 3/4 che ha fatto la fortuna del liscio) per improvvisare una mazurka sugli arpeggi di Capitan Fede Poggipollini, Leggero è l’apoteosi del popolo del Liga e del suo leader che si sente cantare in faccia da 150 mila voci le sue stesse parole di rabbia e di speranza. E con lui lì, nel punto più avanzato della passerella, ben in mezzo al suo pubblico, solo con la sua chitarra davanti alla rappresentazione plastica del suo successo, non si può non immedesimarsi nelle sue stesse sensazioni e provare un brivido. Perché un conto sono i dischi di platino, le hit parade, i premi e i passaggi in radio, tutt’altra cosa è vedere con i propri occhi l’infinità di persone a cui, in qualche modo, sei arrivato. E l’emozione di quel momento è la ragione per cui ogni cantante fa questo mestiere.
Il terzo set è concepito per scontentare tutti, nel senso buono del termine, perché esauriti i due album-tributo ne restano altri 17 (8 in studio, 5 live, 3 raccolte e la colonna sonora di Radiofreccia) tra cui scegliere gli altri brani, con l’evidente complicazione di doverne lasciare fuori tanti che il pubblico amerebbe ascoltare. Ligabue sceglie di proporre tre dei quattro inediti di Giro del mondo (C’è sempre un canzone che apre il set, la sorprendente folk-song di protesta Non ho che te attualmente in radio e il prossimo singolo A modo tuo già interpretato da Elisa, presente a Campo Volo).
Per il resto, per l’ultima parte di concerto in cui è affiancato dalla sua band attuale (che comprende sempre il fidatissimo Poggipollini), Luciano decide di proporre un brano per quasi ogni album, restando purtroppo fuori inspiegabilmente il sottovalutato Sopravvissuti e sopravviventi. Così Lambrusco, coltelli, rose e pop corn è inevitabilmente rappresentato dall’inno generazionale Urlando contro il cielo, il cui coro risuona potentissimo nella notte reggiana; la cover dei R.E.M. A che ora è la fine del mondo? con la sua scarica rock ricorda l’omonimo EP; Si viene e si va è il singolo estratto da Miss Mondo ’99, forse l’album meno riuscito di Ligabue, mentre Questa è la mia vita rappresenta sia l’album Fuori come va? sia il secondo film diretto dal cantante Da zero a dieci.
La botta di ottimismo de Il meglio deve ancora venire riporta al penultimo lavoro in studio Arrivederci, mostro! e il più recente Mondovisione è rappresentato dalla potentissima e polemica Il muro del suono, ma anche, unico caso di due brani dallo stesso album, da Con la scusa del rock’n roll, che chiude definitivamente i bis e il concerto, proprio perché tutto ciò che è avvenuto in questi 25 anni è stato fatto con la scusa del rock’n roll. Una citazione anche per la colonna sonora di Radiofreccia, da cui è tratta la struggente ballata Ho perso le parole. E una per il primo live Su e giù da un palco, da cui Ligabue estrae la già citata Tra palco e realtà, che per il suo forte contenuto evocativo del momento chiude il concerto ufficiale.
Anche per questo terza parte emergono prepotenti due momenti di grande tensione emotiva e partecipazione: da Nome e cognome, un po’ a sorpresa, Luciano sceglie di proporre una meravigliosa versione voce e chitarra di Sono qui per l’amore, anche questa introdotta dalle ormai consuete scuse per il brano non famosissimo. E invece l’atmosfera che si crea, con il pubblico che al contrario mostra di gradire particolarmente la scelta, fa sì che quel testo dolceamaro così tipico di Ligabue arrivi diretto al cuore come forse non aveva mai fatto prima. Emozioni allo stato puro.
Dalla raccolta Primo Tempo arriva invece un altro testo di grande intensità (pur qua e là zoppicante): è Buonanotte all’Italia ma in questa occasione le emozioni arrivano principalmente dalla proiezione sul megaschermo di immagini di grandi italiani (la maggior parte scomparsi) e di personaggi cari a Ligabue come il padre Giovanni, il cugino Gianni Iotti (protagonista di Lettera a G.), l’amico Stefano Ronzani (cui fu dedicata Il giorno di dolore che uno ha che apre i bis), i collaboratori Angelo Carrara e Feiez (già Storie Tese). Tra le celebrità che appaiono in video, ad ogni nuova immagine scatta l’applausometro, sfida vinta facilmente da Marco Simoncelli, in questa terra di piloti e motori. Un’enorme macchia tricolore sullo schermo suggella il finale della canzone.
Alla fine del lunghissimo set, i bis sono quindi solo due. Il giorno di dolore che uno ha, come detto, cui Luciano tiene particolarmente tanto da decidere di fermarsi prima del ritornello e ripeterla dopo un primo tentativo abortito causa problemi sulla chitarra di Niccolò Bossini. L’invito di Ligabue è quello di viverla fino in fondo, sfruttando il momento e la presenza di una grande comunità come quella di Campo Volo per dare sfogo a tutte la frustrazione e la rabbia per tutti i giorni di dolore che ognuno ha avuto o sta avendo. E poi mentre Luciano spiega che tutto questo è successo con la scusa del rock’n roll e sul mega schermo compare un’enorme scritta Ligabue, un incredibile spettacolo pirotecnico ci accompagna verso l’uscita e le nostre due ore di coda per uscire dal parcheggio, ma le affrontiamo con gioia perché possiamo dire che ne è valsa veramente la pena.