Come all’incirca mezza Italia, nell’autunno del 2005 rimasi incantato da La guerra è finita, il primo singolo dei Baustelle premiato da altissima rotazione radiofonica, anche (soprattutto) in virtù del recente passaggio della band ad una major come la Warner Bros. La semplice ma geniale progressione armonica, l’arrangiamento d’orchestra perfettamente fuso con suoni indie, la voce particolare di Francesco Bianconi con quel timbro scuro alla Nick Cave, le liriche originali, sospese tra pathos, ironia ed understatement nel trattare un argomento spigoloso e complicato come il suicidio giovanile.
Insomma, bastò poco perché decidessi di acquistare l’album La malavita, il terzo lavoro della band di Montepulciano ma, come detto, il primo a godere di visibilità mediatica anche al di fuori del circuito indie grazie al contratto con un’etichetta multinazionale. I precedenti Sussidiario illustrato della giovinezza e La moda del lento avevano infatti riscosso grande credito nel circuito underground ma poca diffusione al grande pubblico, anche perché all’epoca la potenza dei social network era nulla se paragonata a quella di oggi.
Ecco, quindi accadde che comprai il CD di La malavita e ne fui totalmente deluso; a parte il secondo singolo Un romantico a Milano non mi piacque nulla. A distanza di più di dieci anni non ricordo cosa esattamente non mi convinse, non so se ero io che non ero “pronto” per quel genere di musica e di suoni, non so se l’album effettivamente non fosse valido quanto La guerra è finita. Fatto sta che, caso unico al mondo, regalai il CD a un amico e misi una pietra sopra ai Baustelle, seguendoli solo sporadicamente grazie ai singoli radiofonici come Charlie fa surf o Gli spietati e più che altro incuriosendomi del lavoro di Bianconi come autore, soprattutto con Irene Grandi (Bruci la città e La cometa di Halley) e Paola Turci (La mangiatrice di uomini e la meravigliosa Io sono).
Più di dieci anni dopo mi sono fatto incantare di nuovo da un singolo dei Baustelle (in questo caso Amanda Lear) e stavolta, complice Apple Music che non sarà mai ringraziata sufficientemente per il servizio che rende alla musica, ho scaricato l’intero nuovo album L’amore e la violenza stavolta restandone pienamente soddisfatto. Non ho voluto riprendere e riascoltare La malavita per non farmi influenzare, ma prima o poi scoprirò cosa non aveva funzionato la prima volta. In questo lavoro invece, il settimo in studio della propria discografia, la band toscana raggiunge probabilmente l’apice della sua produzione, tornando a quel pop sinfonico che ne aveva caratterizzato la cifra stilistica fin dagli esordi.
I temi principali, ovviamente l’amore e la violenza, sono declinati in tutti i modi possibili e sono presenti praticamente in ogni brano, spesso anche con citazioni dirette e si dipanano nei soliti testi originali, provocatori e spesso espliciti, che regalano uno sguardo ironico e tagliente su vizi e costumi dei nostri tempi: episodi di cronaca, terrorismo, proteste, schiavitù da social network e da falsi idoli. Dalla spietata satira di costume di La vita e de Il Vangelo di Giovanni (con i tempi moderni che assomigliano sempre di più al libro dell’Apocalisse) alla straordinaria e feroce Eurofestival (probabilmente l’episodio migliore dell’album) che sembra un brano di Battiato cantato da Alice grazie all’ottima interpretazione di Rachele Bastreghi (altro che Gabbani!). Passando per la disincantata Amanda Lear, fino a toccare altri temi sensibili come le dipendenze (Betty), o l’anoressia come conseguenza dell’adesione acritica a canoni estetici distorti (Basso e batteria).
Musicalmente la ricerca sonora di Bianconi & C. prosegue nel percorso di fusione tra sonorità rock e orchestrali con qualche concessione all’elettronica (Lepidoptera), ma anche alla disco music (La musica sinfonica e L’era dell’acquario con i suoi espliciti riferimenti agli anni ’70 e al musical Hair) e al cantautorato classico, si ascolti in particolare la traccia finale Ragazzina, una delicatissima ballata a metà tra De Gregori e De André che si risolve in uno struggente assolo di slide guitar sulla voce di Rachele. Dodici tracce, comprese l’intro Love e l’interludio Continental stomp che fanno di L’amore e la violenza un album praticamente perfetto per la capacità di fare convivere coerenza di stile e varietà di contenuti, e che meriterebbe qualche attenzione di più da parte dei media tradizionali.