Nel panorama musicale italiano della fine degli anni ’10, esiste un’evidente dicotomia tra due mondi paralleli, opposti e distanti rappresentata plasticamente dalle polemiche seguite al recente Festival di Sanremo: da una parte Mahmood (classe ’92), rappresentante di una scena alternativa assurta solo di recente a palcoscenici mainstream come appunto quello di Sanremo (suoni elettronici, iperprodotti, uso e abuso di autotune, testi spesso rabbiosi ispirati alla cultura trap). Dall’altra Ultimo (classe ’96), erede della migliore scuola cantautorale romana (da De Gregori a Venditti), con un suono basico e classico sia con il supporto della band, sia nei momenti più scarni e acustici costruiti solo su pianoforte e potenza vocale; e con testi intimi e ispirati alla sua vita, alle amicizie, al difficile rapporto col successo e, soprattutto, all’amore. Nonostante le valutazioni delle varie giurie di onore o di qualità, comunque le vogliamo definire, che hanno preferito la modernità, solo di facciata, di Mahmood, il terzo album di Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, conferma una volta per tutte il talento, la poetica e, appunto, la modernità, questa volta reale, del ragazzo di San Basilio.
Continua a leggere