Chi non vorrebbe vivere a La La Land? Un luogo dove non ci sono computer, e-mail e social network, dove ci si dimentica di scambiarsi il numero di telefono con l’appuntamento della sera dopo, dove Los Angeles è un luogo di sola bellezza, privo di tensioni sociali, criminalità e pestaggi. Dove l’unica concessione alla modernità sono le automobili di oggi e i telefoni cellulari, o magari una cover di Take On Me o di I Ran piazzata a sorpresa nel bel mezzo di brani jazz e tipiche canzoni da musical. Sì, perché il film scritto e diretto da Damien Chazelle è in tutto e per tutto un musical, esattamente come quelli a cui ci ha abituato la grande scuola americana, da Cappello a cilindro e Sette Spose Per Sette Fratelli in poi. I protagonisti recitano, cantano, ballano, si scollano dalla realtà e finiscono a danzare nel cielo in mezzo alle stelle, il tutto in un elegantissimo miscuglio di concretezza e fantasia dove la magia e la poesia imperano.
La La Land è un film che secondo i canoni hollywoodiani qualunque produttore avrebbe dovuto bocciare senza mezzi termini, perché alla fatidica domanda posta allo sceneggiatore “Raccontami la trama in trenta secondi”, questi avrebbe dovuto rispondere: “Mia lavora in una cafeteria degli studios e passa di provino in provini sognando di diventare attrice, Seb è un pianista jazz che sogna di comprare il suo locale preferito che hanno trasformato in un “tapas e samba” per tornare a farci suonare le jazz band. Si incontrano, si innamorano, hanno successo in momenti diversi e alla fine realizzano i loro sogni, ma a discapito di… [spoiler]”. Non a caso il copione di Chazelle giaceva intoccato in un cassetto dal 2010, e solo dopo il successo di Whiplash ha potuto trovare un produttore disposto ad investirci i non pochissimi (30 milioni di dollari) denari necessari per la realizzazione, ricavandone peraltro incassi già oltre i 250 milioni di dollari (and counting), per non parlare dei sette Golden Globe e delle quattordici nomination agli Oscar.
Perché La La Land è molto più di questa trama semplice e tutto sommato poco originale: è una fuga dalla realtà fin dal titolo, che rimanda tanto a Los Angeles (protagonista assoluta della pellicola insieme con i due attori principali) quanto alla tipica forma idiomatica inglese che indica chi vive, diremmo noi, “sulle nuvole”. È la dimostrazione della capacità di Hollywood di riuscire ancora a mettere insieme un film (e che fim!) totalmente privo di morti, sangue, spari, ed esplosioni e allo stesso tempo senza il minimo accenno di nudità che vada oltre una gonna sopra al ginocchio. Il testosterone di uno straordinario Ryan Gosling è tutto in quel sorriso ribaldo che sa infrangere molti più cuori della classica passeggiatina a culo nudo, Mel Gibson style, del belloccio del momento. Il sex appeal di un’incantevole Emma Stone è tutto in quegli occhi così grandi e profondi che risultano molto più erotici delle tette al vento della sgallettata di turno.
Già, Ryan Gosling ed Emma Stone. Se il film era già un piccolo gioiello, pieno di citazioni in chiave moderna dei classici del passato senza tuttavia indulgere alla nostalgia, se la musica e le canzoni (City Of Stars su tutte) catturano fin da subito lo spettatore nel rispetto della più pura tradizione dei musical d’antan, se John Legend ci mette del suo interpretando alla grande l’electro-jazz dei Messengers, se la regia di Chazelle è una sorta di breviario per cinefili tanto da regalarci addirittura una serie di dissolvenze incrociate, il valore aggiunto del film è sicuramente nella prova magistrale di Emma e Ryan, giustamente già premiati a loro volta con i Golden Globe e favoritissimi per gli Oscar, meravigliosi interpreti, cantanti, ballerini e musicisti, che reggono alla grandissima il paragone con i grandi del passato, da Fred Astaire e Ginger Rogers in giù. Impossibile non farsi coinvolgere dalla loro storia, impossibile non innamorarsene al primissimo primo piano.