Wembley 1993. Tanti pensano che una gioia così sarà irripetibile, e in effetti tale rimarrà per sempre perché è la prima volta e la prima volta non si scorda mai e ha un sapore tutto suo. Però le repliche invece non mancheranno: la stagione successiva è di nuovo Coppa Coppe, ed è di nuovo finale. E dopo aver messo in fila squadroni come Ajax e Benfica, si pensa che l’ostacolo Arsenal non sia affatto insormontabile; parto per Copenaghen fiducioso di riuscire a sfatare la tradizione che vuole il bis in Coppa Coppe impossibile. Ma non sarà così: Tomas Brolin centra il palo, Alan Smith invece la mette dentro. Sulle note di Go West i tifosi Gunners cantano One-nil to the Arsenal, con quel filo di humour che permette loro di ironizzare sulla ormai proverbiale indole sparagnina della squadra di George Graham. E tradizione della coppa confermata, con buona pace anche dei tanti tifosi romanisti accorsi al Parken a fare tifo interessato: un’eventuale vittoria del Parma avrebbe liberato un posto Uefa proprio per la Roma. Le strade di gialloblù e giallorossi torneranno ad incrociarsi drammaticamente in futuro.
Seguiranno altri trionfi disseminati lungo l’album dei ricordi, ma intanto c’è la netta percezione che qualcosa sia cambiato, che nell’isola felice si rilevino le prime incrinature nei rapporti. Georges Grün, per esempio, si sarebbe aspettato di giocare la finale: il belga era reduce da un grave infortunio che a gennaio aveva convinto la società ad ingaggiare Nestor Sensini dall’Udinese, ma era pienamente disponibile. Si sarebbe aspettato di giocare perché lo meritava, perché per tre stagioni e mezza era stato il perno della difesa e della squadra, il segreto neanche tanto segreto di Scala che grazie all’intelligenza tattica del belga poteva giocare con 5 difensori e 4 centrocampisti pur avendo due punte. Non tornano i conti? Beh, non tornavano neanche agli avversari! Se lo meritava per il suo attaccamento alla maglia, per essere sceso in campo, nonostante il dolore, tre giorni dopo la scomparsa della sua figlioletta Victoria, nata prematura. Invece è proprio Sensini a giocare, forse un premio per il gol decisivo in semifinale con il Benfica, ed il belga va in tribuna, per la regola dei soli tre stranieri a referto allora in vigore. Grün incassa da campione senza battere ciglio da signore qual è, ma a fine stagione se ne torna all’Anderlecht.
I tifosi, poi, si legano al dito la brutta pagina del Mirabello il 6 aprile del 1994: a Reggio Emilia si recupera il primo derby di Serie A, sospeso un mese prima per l’infortunio dell’arbitro Pairetto. Il Parma è ormai tranquillamente in zona Uefa, il Milan è irraggiungibile e la semifinale di ritorno di Coppa Coppe col Benfica incombe; la Reggiana invece lotta disperatamente per la salvezza. Il Parma scende in campo distratto e perde malamente 2-0, i tifosi si infuriano e il tentativo di minimizzare l’accaduto peggiora le cose: per un tifoso del Parma, spiegano i Boys con un comunicato, la Reggiana conta più del Benfica. I ragazzi ce l’hanno con tutti, con i giocatori scesi in campo molli, con la società accusata di avere quanto meno “invitato” i giocatori a risparmiarsi (allora la Parmalat controllava anche la Reggiana e quei due punti, insieme con l’impresa di San Siro all’ultima giornata, permisero la salvezza dei granata). Viene indetto uno sciopero del tifo fino a fine stagione poi, si sa, i risultati curano tutte le ferite. Ma da allora si canta solo per la maglia, nessun coro per i giocatori, salvo quelli che nascono spontaneamente dopo un gol.
Contestualmente inizia anche la voglia di strafare di Calisto Tanzi, già in difficoltà con la Parmalat come avremmo però saputo solo dieci anni dopo, ma ingolosito dalla gloria, dalla fama e dal desiderio di stare al pari con i suoi colleghi dell’élite imprenditoriale italiana: Agnelli, Berlusconi, Moratti, Sensi, Cragnotti e Cecchi Gori. Prima gli acquisti di Crippa e Zola, poi quelli di Dino Baggio e Fernando Couto, infine quelli sfumati per un attimo di Luis Figo, Roberto Baggio e Beppe Signori e quello, concretizzato, del pallone d’oro Hristo Stoichkov. In breve il Parma che della B ha conquistato l’Europa non c’è più. C’è una squadra di campioni che compete a tutti i livelli nel famigerato gruppo delle sette sorelle, ma con ben altro bacino di utenza. Il giocattolo si è già rotto ma noi tifosi siamo accecati dalle vittorie e non ce ne rendiamo conto. Gli altri ancora meno.
Già, le vittorie. Prima la Supercoppa Europea nel 1994, nella doppia sfida contro il Milan, che era in finale solo per la squalifica del Marsiglia e soprattutto il 1995, l’anno del duello infinito con la Juventus sui tre fronti: Scudetto, Coppa Italia e Coppa Uefa. I gialloblù devono soccombere allo strapotere della squadra di Lippi giungendo secondi in campionato e perdendo nettamente la finale di Coppa Italia, ma la prima Coppa Uefa diventa realtà esattamente vent’anni fa e porta la firma indelebile di Dino Baggio, proprio un ex bianconero, che firma l’1-0 del Tardini e l’1-1 del ritorno, disputato a Milano, reso ancora più prezioso dal gol capolavoro di Vialli che apre le marcature. In campo ci sono Massimo Susic (Apolloni è squalificato), uno dei “vecchi” reduci della serie B tornato a Parma dopo quattro stagioni, e Stefano Fiore, un ventenne calabrese ma parmigiano d’adozione che sostituisce Gabriele Pin. Due giocatori simbolo di un Parma che nonostante l’ingaggio di fuoriclasse come Zola, Asprilla, Dino Baggio e Fernando Couto resta una squadra provinciale e operaia. E il ricordo più bello e più nitido di quella sera rimane quel ragazzo dei Boys che faceva su e giù per il treno speciale del ritorno dicendo a tutti commosso: “Ma avete visto la Coppa Uefa? È più alta di Pin!”
Coppa Coppe, Coppa Uefa. Il Parma si conferma squadra a vocazione europea e copetera come dicono in Spagna: sulla partita secca può battere chiunque. Ma ci si abitua facilmente al sapore dolce della vittoria e i tifosi cominciano a sognare lo scudetto, e poi a sperare nello scudetto, e a un certo momento a pretendere lo scudetto. Ma lo scudetto non arriva, anzi arriva un sesto posto in campionato che se cinque anni prima era stato salutato da una festa enorme in Piazza Garibaldi, adesso è vissuto come un mezzo fallimento. Anche perché è arrivato Hristo Stoichkov e la piazza si aspettava ben altra stagione; invece ben presto fuori dalla lotta scudetto, subito fuori dalla Coppa Italia, solo quarti di finale in Coppa Uefa. Con il risultato che Nevio Scala, artefice numero uno del miracolo Parma, se ne va. È la fine ufficiale dell’isola felice, inizia l’era dei supercampioni: uno ha appena esordito in Serie A, ha 17 anni e gioca in porta. In un Parma – Milan dominato dai rossoneri ha parato qualunque cosa sotto la Nord e ha portato a casa un prezioso 0-0. Si chiama Gianluigi Buffon.
Ma non va meglio nemmeno al successore di Scala, Carlo Ancelotti. La Coppa Uefa dura un solo turno, la Coppa Italia idem. Il campionato invece va meglio, forte degli innesti di Chiesa e Crespo (che spingono Zola al Chelsea), di Thuram e Cannavaro che ottiene sempre più spazio con lo spostamento di Sensini a centrocampo. È una squadra poco spettacolare ma granitica, con un centrocampo più muscolare che talentuoso (Stanic, Baggio, Sensini, Crippa) e che si affida ai gol di Chiesa e Crespo (fischiatissimo nella sua prima stagione nonostante i gol segnati). Il Parma arriva secondo, ancora una volta dietro la Juventus, di soli due punti. Tutto si decide in quattro giorni e con due rigori dubbi: al mercoledì sera il quartultimo turno vede il Milan al Tardini, Parma in vantaggio con Chiesa, a venti minuti dalla fine pareggia Albertini su rigore discutibile; alla domenica il Parma va a Torino per lo scontro diretto e dopo mezzora è in vantaggio, allo scadere del primo tempo Amoruso pareggia con un altro rigore dubbio, fischiato da Collina. Le vittorie su Bologna e Verona sanciscono la prima qualificazione alla Champions League della storia ducale ma lo scudetto va ancora a Torino. L’anno successivo l’avventura in Champions League si interrompe dopo la fase a gironi, nonostante la prestigiosa vittoria sui campioni in carica del Borussia Dortmund, è il suicidio casalingo contro lo Sparta Praga a sancire l’eliminazione dalla massima competizione europea: un 2-2 maturato negli ultimi tre minuti quando all’88’ i crociati ancora conducono per 1-0. Allora passavano solo le prime classificate dei sei gironi e sarebbero serviti tre punti casalinghi e tre punti ad Istanbul contro il Galatasaray ormai eliminato per raggiungere un posto tra le migliori seconde e qualificarsi ai quarti. Un altro 2-2 casalingo, questa volta col Milan e firmato da una doppietta di Kluivert, spegne anche il sogno della terza Coppa Italia, a un passo dalla finale. In campionato è solo quinto posto: anche la sorte di Ancelotti è segnata. Per i prossimi trionfi occorrerà aspettare le tre coppe in cento giorni.
2 – TO
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