Per chi come me, ahimé, ha ormai un bel 4 davanti all’età questi anni duemiladieci sono una certa tortura: la giovinezza vissuta quasi interamente negli anni novanta produce una quantità intollerabile di frasi che cominciano con “Ma pensa, sono già passati vent’anni da quando…”. Il Palabigi di Reggio Emilia, pieno e bello carico, sembra in effetti popolato principalmente da giovani adulti con in bocca proprio quella frase: “Ma pensa, sono già passati vent’anni da quando è uscito Contro un’onda del mare”, il primo album di Max Gazzè che, infatti, celebra adeguatamente l’anniversario dedicando quasi più spazio agli estratti di quel lavoro che a quelli del nuovo album in promozione Maximilian.
Poi è vero che in realtà il grande pubblico iniziò a scoprirlo solo l’anno dopo, con i tre singoloni che lo lanciarono ai piani alti dell’airplay: prima Cara Valentina, poi Vento d’estate (con l’amico Niccolò Fabi) e La favola di Adamo ed Eva, tutti inseriti nell’album omonimo uscito nel 1998, dove già si trovavano ben germogliati i semi dello stile di Max Gazzè, caratterizzato da una varietà sonora ricercata, frutto delle tante esperienze fatte in Europa come turnista e produttore, e da un approccio ironico alla composizione sia nei testi, spesso dissacranti ma non di rado profondi e intensi, sia nelle musiche, con arrangiamenti spesso sospesi tra il raffinato e il kitsch. Quando, con una bella mezzora di ritardo, inizia il concerto c’è già la prima sorpresa: Max entra in scena restando sul fondale, munito di microfono ad archetto, e si diletta in evoluzioni con le braccia seguite da scie di colore proiettate dal video alle sue spalle, mentre canta l’ultimo ottimo singolo Mille volte ancora. Dalla stessa posizione prosegue con Megabytes, curiosamente scelta insieme con la successiva Questo forte silenzio a rappresentare Ognuno fa quello che gli pare? (2001) piuttosto che Non era previsto o Il debole tra i due. Al terzo brano finalmente guadagna la sua posizione al centro del palco e soprattutto imbraccia il basso per la recente I tuoi maledettissimi impegni (Sanremo 2013) che rivela la parte più sarcastica e graffiante delle sue liriche, peraltro in questo caso molto ricercate, nella frustrazione di un uomo al quale la propria donna non trova tempo da dedicare: “Potrei farti da fermaglio per capelli se per sbaglio ti venisse voglia di tenerli su. Oppure travestirmi da molecola di vento e accarezzarti impunemente il viso, mentre non hai tempo. E non c’è una soluzione se non essere l’involucro di ogni funambolico pensiero che ti viene, quando le giornate sono piene dei tuoi maledettissimi impegni!”
Il set procede con quello che ha tutta l’aria di essere un greatest hits (anche perché Max non ha il difetto che vantano alcuni suoi colleghi di rinnegare i suoi successi) con altri due pezzi sanremesi, accomunati dal tema delle riflessioni sui rapporti uomo-donna, visti sempre da una parte maschile e svantaggiata: l’avvinazzato innamorato de Il timido ubriaco (Sanremo 2000) e il pretendente sensibile de Il solito sesso (Sanremo 2008). Poi Max regala un’altra perla tratta dall’ottimo album del 2000 che porta il suo nome e che è noto anche come Gadzilla: quella Su un ciliegio esterno che per sua stessa ammissione non suonava più o meno da quei tempi. La nuova e intima Nulla riapre il capitolo dedicato a Maximilian, subito seguita dalla disincantata Ti sembra normale che ancora una volta indaga sui problemi delle relazioni di coppia al giorno d’oggi, e che per testo e musica si può considerare quasi una summa della cifra stilistica di Gazzè e che pertanto si candida fortemente ad essere il terzo singolo estratto dall’album. Poi la lancetta del tempo torna indietro più o meno di quei famosi vent’anni di cui si parlava, e in sequenza Max regala tre pezzi del 1998: prima Cara Valentina, per la quale chiede la collaborazione del pubblico che partecipa convinto sul coro finale a cappella che come un ossimoro ripete all’infinito “Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento”; poi La favola di Adamo ed Eva che scuote e fa ballare l’intero palazzetto, mettendo il pubblico definitivamente in partita, mentre il basso pulsante e ipnotico è il marchio di fabbrica di Raduni ovali che chiude la terzina, inframmezzata dalla nuova Sul fiume, per la quale Gazzè chiede invece un momento di riflessione data la sua natura intimista e contemplativa.
La meravigliosa L’uomo più furbo si conferma uno dei pezzi più riusciti dell’intera discografia di Max per struttura ritmica e armonica e per il testo a metà tra amarezza e ironia. E dopo Edera è il momento di ricordare il disco e il tour realizzati recentemente con gli amici Niccolò Fabi e Daniele Silvestri, così da Il padrone della festa estrae la bellissima L’amore non esiste, una delle più belle canzoni d’amore della musica italiana, a dispetto del titolo. Questo forte silenzio indirizza verso la conclusione di questo primo set che termina col botto e con due brani profondamente diversi. Quello che sorprende maggiormente di Max, infatti, è la capacità e della sua essenziale band di cambiare completamente atmosfera semplicemente modificando il suono dell’organo di Clemente Ferrari, l’effetto di una chitarra di Giorgio Baldi, il tipo di fiato scelto dal polistrumentista Max “Dedo” De Domenico o il basso suonato da Max. Così in un attimo, in un ottovolante di emozioni, generi e stili, si passa dalla delicata e dolcissima ballata Mentre dormi (anche parte della colonna sonora di Basilicata coast to coast, l’esordio di Gazzè come attore) al folk balcanico di La vita com’è, il sorprendente singolo a metà tra La filanda e Bregović che ha conquistato radio e classifiche lo scorso inverno e che fa letteralmente esplodere il Palabigi in cori da stadio più che da palazzetto.
Dopo una breve pausa e un cambio d’abito (Max si presenta con un ampio giubbotto e incappucciato stile Obi Wan Kenobi) e dopo aver evocato il 1996 con avvenimenti d’epoca proiettati sul maxischermo, ecco il citato omaggio al disco d’esordio Contro un’onda del mare, di chiara ispirazione fantascientifica come ricordano anche le immagini: prima Il bagliore dato a questo sole, poi Sirio è sparita, quindi L’eremita, tutte in tonalità di Mi minore che Gazzè definisce apocalittico, mentre un paio d’anni dopo, spiega Max, la tonalità divenne un La minore molto più estivo. È il preludio a Vento d’estate che introduce il gran finale che poi prosegue con l’attesissima Sotto casa, introdotta da una scenetta con protagonista uno pseudo-vescovo intento a mangiare una banana, probabilmente a rappresentare i vari predicatori religiosi di cui Max si fa beffe nella canzone. L’irresistibile tempo in levare scuote nuovamente il palasport che esplode nel coro del ritornello. L’ultimo brano è infine Una musica può fare (l’esordio a Sanremo Giovani, nel 1999, quando a Sanremo Giovani si andava con già due album e un po’ di gavetta alle spalle) che racchiude un po’ il Gazzè-pensiero sul potere delle sette note. Poi mentre scorrono, letteralmente, i titoli di coda dello spettacolo e in sottofondo si diffondono le note di Verso un altro immenso cielo tratta sempre da Maximilian, Max e la sua band salutano il pubblico e lasciano il palco. C’è tempo per il solo bis Comunque vada che accompagna la gente, visibilmente soddisfatta, all’uscita.