Benché nel testo della straordinaria Svuoto i cassetti Erica Mou si autodefinisca una “bimba spaesata”, in realtà la ancora giovanissima cantautrice pugliese è cresciuta tantissimo negli ultimi anni, in un percorso di maturazione artistica che con questo bellissimo nuovo lavoro, Bandiera sulla luna, raggiunge il suo apice; momentaneamente, viene da pensare, perché Erica sembra essere oggi nel pieno della sua massima ispirazione e con ogni probabilità ha ancora in serbo altri ottimi album negli anni a venire.
Tanto per cominciare, Erica oggi è molto più donna, in tutte le sfaccettature del termine. È più affascinante: e per la prima volta sulla copertina dell’album si offre in un’immagine in cui si esalta la sua femminilità tra trasparenze e sensualità; è più matura: e per la prima volta nei suoi sempre originali testi fa riferimenti espliciti all’amore fisico e sensuale (“Ti sazierei con i fornelli spenti”, “Ieri, solo ieri,
sdraiati sul fianco, la mia schiena sul tuo petto”); è più sfrontata: e in un paio di occasioni si abbandona addirittura a un inatteso ma non per questo meno pertinente turpiloquio, buttato là tra immagini piene di poesia.
È più consapevole: e in quello straordinario inno alle donne e all’amicizia femminile, per voce e chitarra, che è Ragazze posate (la prima volta che l’ho ascoltata in anteprima dal vivo avevo pensato fosse la più bella canzone scritta da Erica, oggi resto convinto che sia tra le prime tre) traccia un’introspezione dell’universo femminile da inserire direttamente in un’antologia sul tema; è più libera: e la si vede ballare divertita nel video del primo singolo Svuoto i cassetti a dispetto di quanto raccontava di sé stessa in Giungla: “Allora cerco di ballare bene, ma pare sia il mio corpo a non andare bene”. Inoltre, come accade da quando è tornata nell’alveo delle etichette indipendenti dopo l’esperienza con la Sugar, Erica ha oggi una totale libertà di azione a tutti i livelli: dalla scrittura agli arrangiamenti, dalle interpretazioni alla produzione.
Uno dei tratti distintivi della sua scrittura è sicuramente l’ispirazione autobiografica della quasi totalità dei pezzi, siano essi brevi tranche de vie che riguardano traslochi (la citata Svuoto i cassetti), la fine di storie d’amore lunghe (la title track Bandiera sulla luna con il suo elenco degli effetti pratici di una separazione, a metà tra rimpianto e ironia) o brevi (Canzoni scordate, Al freddo), o ancora nuovi incontri che già preparano emozioni forti ancora da venire, da vivere con delicata malinconia (Souvenir: “Quando ti guardo so già che questo sarà un bellissimo ricordo”), sincero stupore (Arriverà l’inverno: “Cosa ci fai, cosa ci fai qui con me?”) o divertita ironia (Non so dove metterti: “Mi piacerebbe vivere con te […] ma adesso no, aspettiamo ancora un po’. Il fatto è che ho l’armadio pieno di vestiti che potrebbero tornare di moda e se venissi pure tu non saprei più cosa mettermi”); oppure delicate sequenze oniriche come nella meravigliosa e delicata Roma era vuota, o profonde introspezioni personali come flussi di coscienza (Irrequieti, Amare di meno).
E così come il precedente ottimo album Tienimi il posto (qui la recensione) era influenzato dalla perdita prematura della madre e dal grave problema alle corde vocali che l’ha obbligata al silenzio per diverso tempo, questo nuovo lavoro ha moltissimo a che fare con le recenti novità intercorse nella vita di Erica: una nuova casa, amori che finiscono, amori che iniziano, nuove sfide.
A livello interpretativo c’è poi la sua incredibile capacità di passare in pochi decimi di secondo da frammenti di canzone parlati e raccontati (che dal vivo assumono una teatralità interpretativa da consumata attrice) vicini parenti del classico flow dei rapper (e penso ancora alla sorprendente Al freddo e a Svuoto i cassetti) a frasi di ispirazione classica, quasi melodrammatica, in cui si dipana il timbro pieno e limpido di Erica (basti pensare a incisi densi di melodia come quelli di Canzoni scordate e Roma era vuota) che è dotata di una voce tecnicamente impeccabile ed emozionante. Il tutto nel contorno dalla consueta metrica non ortodossa che conferisce ai suoi pezzi una riconoscibilità immediata, senza tuttavia annacquare le melodie, ma piuttosto esaltandole.
Dal punto di vista del suono, Erica dimostra sempre di trovarsi perfettamente a proprio su tappeti poco invasivi, voce e chitarra in primis, con il leggero accompagnamento di pianoforte e violoncello (come quando si esibisce dal vivo con i fidi Antonio Iammarino – co-arrangiatore e co-produttore del progetto – e Flavia Massimo) e con l’utilizzo, anche in studio, della loop station per creare effetti sonori da one-woman band (Non so dove metterti, per esempio); non mancano tuttavia momenti sorprendentemente elettronici (la stessa Svuoto i cassetti che suona un po’ trip-hop come la precedente Le macchie) o elettrici come la travolgente scarica rock che sottende al ritornello cattivo di Al freddo.
Detto che la chiusura dell’album è geniale, con il blues-soul in 6/8 di L’unica cosa che non so dire, il suo testo originale e il suo finale a effetto, l’unico piccolo aspetto negativo di quello che è indubbiamente uno dei lavori più belli dell’anno per quanto riguarda la musica italiana, è che dura veramente poco, solo un po’ più di 30 minuti. E se da una parte va a merito di Erica la capacità di resistere alla tentazione di allungare il brodo di un pezzo, solo per il gusto di arrivare ai quattro minuti, dall’altra spiace che i tredici pezzi dell’album volino via così veloci.
Nota di merito, infine, per una perla di rara bellezza, infilata con nonchalance a metà dell’album, come la stupefacente versione di Azzurro in un arrangiamento tutto pianoforte, chitarra, e archi che toglie tutta la spensieratezza e allegria della versione più nota, per ricondurre il brano alla vera essenza del testo di Vito Pallavicini e a tutta la sua malinconica tristezza per il rimpianto di chi non c’è. Un’operazione talmente brillante e ben riuscita da far risultare totalmente stonato l’arrangiamento da allegra marcetta portata al successo da Adriano Celentano e che esalta, reinventandola completamente, la straordinaria linea melodica ideata da Paolo Conte.
Bandiera sulla luna, concludendo, è un album che splende di luce propria in un panorama musicale italiano tendente un po’ troppo all’omologazione, ed Erica Mou è un’artista che meriterebbe un po’ più di attenzione per la qualità della sua proposta musicale. Cinema e letteratura si sono già accorte da tempo di lei, sarebbe ora che anche radio e televisione le dedicassero il giusto spazio.