Nel panorama musicale italiano della fine degli anni ’10, esiste un’evidente dicotomia tra due mondi paralleli, opposti e distanti rappresentata plasticamente dalle polemiche seguite al recente Festival di Sanremo: da una parte Mahmood (classe ’92), rappresentante di una scena alternativa assurta solo di recente a palcoscenici mainstream come appunto quello di Sanremo (suoni elettronici, iperprodotti, uso e abuso di autotune, testi spesso rabbiosi ispirati alla cultura trap). Dall’altra Ultimo (classe ’96), erede della migliore scuola cantautorale romana (da De Gregori a Venditti), con un suono basico e classico sia con il supporto della band, sia nei momenti più scarni e acustici costruiti solo su pianoforte e potenza vocale; e con testi intimi e ispirati alla sua vita, alle amicizie, al difficile rapporto col successo e, soprattutto, all’amore. Nonostante le valutazioni delle varie giurie di onore o di qualità, comunque le vogliamo definire, che hanno preferito la modernità, solo di facciata, di Mahmood, il terzo album di Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, conferma una volta per tutte il talento, la poetica e, appunto, la modernità, questa volta reale, del ragazzo di San Basilio.
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Perché Sanremo è Sanremo?
Diavolo d’un Pippo Baudo! Era il lontano 1995 quando il motivetto composto da Pippo Caruso e Sergio Bardotti, sigla di quella edizione, iniziò a trapanarci il cervello fino a diventare a tutti gli effetti il jingle ufficiale della manifestazione. E oggi, a vent’anni di distanza, ci ritroviamo distrattamente a canticchiarlo e a chiudere ogni discussione sanremese citando il pay-off che qualsiasi pubblicitario avrebbe voluto avere inventato per quanto è forte, diretto ed efficace: “Perché Sanremo è Sanremo”.
Già, perché Sanremo è indubbiamente Sanremo ed è allo stesso tempo domanda e risposta, causa e conseguenza, principio e fine della sua stessa leggenda che si autoalimenta. Ma se Sanremo è Sanremo, e non ci piove, perché Sanremo è Sanremo? In altre parole, cosa trasforma una manifestazione canora che potremmo definire per molti aspetti datata, obsoleta, anacronistica, in un evento mediatico capace di catalizzare per una settimana intera l’interesse di milioni di italiani (la maggior parte dei quali non consumatori abituali di musica) e le discussioni di migliaia di persone al bar, in palestra, in ufficio, dalla parrucchiera, nello spogliatoio di calcetto?