Avete presente quando siete al buffet dell’aperitivo e, dopo aver spizzicato olive, patatine, pop corn, noccioline, sedani, carote, crostini col salame, cracker col Philadelphia e, quando va grassa, quadratini di focaccia e di piadina scarsamente farcita, finalmente arriva la pizza? L’assalto delle cavallette è tale che a stento si riesce a recuperarne un piccolo trancio e mentre lo ingurgiti in due bocconi, già allunghi il collo per vedere se ne è rimasto un pezzo (pia speranza) o se ne portano ancora (arriverà, ma tra almeno venti minuti). La verità è che se sei fortunato riesci a servirti a malapena due volte, e resti lì con la voglia di pizza e l’ultimo sedano in mano e il bicchiere dello spritz vuoto, e la vita ti sembra uno schifo.
Bene, immaginate che la mia pizza si chiami Erica Mou (mi perdoni per questa licenza) e che per assaggiarla sia dovuto scendere fino in Puglia per averne appunto solo due piccoli bocconi: il primo nell’estate del 2014 durante un contest per giovani cantanti (Fasano Talent Festival) a Pezze Di Greco, ridente borgo nei pressi di Fasano nel brindisino. Borgo ridente sì, ma in cui per l’occasione la temperatura era scesa fino a circa quattro gradi (in agosto, in Puglia!). La seconda nell’estate del 2015 a Martina Franca con (forse) un paio di gradi in più, ma dopo un violento temporale che stava per mandarmi malinconicamente a casa, in T-shirt e bermuda e senza ombrello, se non fosse stato per il baracchino dei panini con le bombette che mi aveva aiutato ad ingannare l’attesa mentre i poveri, efficientissimi e volenterosi organizzatori dell’evento asciugavano l’asciugabile e mettevano in sicurezza tutti i collegamenti elettrici inopinatamente allagati. In quel caso, quale premio per la mia costanza, ottenni la mia prima foto con Erica, documentata qui di seguito.
In entrambi i casi, comunque, avevo assunto solo piccole dosi omeopatiche di Erica (5/6 brani, venti minuti circa per ciascuno spettacolo) restando, per l’appunto, con la voglia. La voglia di qualcosa di bello e di buono che sei riuscito appena ad assaggiare ma di cui ambisci all’indigestione. D’altra parte iniziavo anche a temere che la presenza contemporanea mia e di Erica nello stesso posto creasse particolari congiunzioni astrali tali da rendere possibili, se non probabili, eventi atmosferici di scarsissima frequenza, quali per esempio una nevicata alle Bahamas. Per questo mi sono accostato con una certa prudenza alla sua data in programma a Bologna (al nord) e per di più a gennaio (in inverno), temendo come minimo una muraglia di due metri di neve sull’intera A1, o per lo meno da Milano a Orte. Ma la voglia di mangiarmi la pizza intera (finalmente un suo concerto completo) ha prevalso su tutti i timori legati alla generazione involontaria di catastrofi naturali e ancora una volta, la scelta è stata premiata.
Fuori di metafora, il mio primo live “full length” di Erica Mou mi ha lasciato il senso di appagamento e di soddisfazione che sanno dare solo quei momenti particolarmente belli e intensi, quelli vissuti fino in fondo, col respiro sospeso e con il cuore che batte all’unisono con quello delle persone accanto a te. Non che non mi sia rimasta voglia di riascoltarla, tutt’altro (anzi, spero di rivederla e riascoltarla presto) ma è la sensazione di essere arrivato in fondo a un viaggio finalmente compiuto ad accompagnarmi all’uscita del Cortile Café, portando con me un’ora e mezza di splendide emozioni e le bellissime dediche di Erica sulle mie copie dei suoi CD. L’atmosfera informale e rilassata della location, con la gente a due passi da un palco a dir poco minimale (compreso Red Ronnie con una videocamera più grande del locale), ha trasformato il concerto in uno one-woman-show con Erica che ha guidato il pubblico lungo questo viaggio attraverso le sue canzoni, inframmezzato da introduzioni e spiegazioni, e da commenti divertiti e divertenti che hanno mostrato il lato più esilarante della sua personalità e le sue qualità di intrattenitrice, oltre che di meravigliosa cantautrice e musicista.
Ed è stata giustamente la musica a reclamare il centro della scena: solo Erica, solo la sua voce e la sua chitarra, il suo sorriso e il suo volto. Perché Erica quando canta, canta anche con gli occhi, con le espressioni di dolcezza, di rabbia, di commozione, di rassegnazione, di divertimento. Se chiudete gli occhi mentre la ascoltate, la sentirete sorridere. A coadiuvarla un utilizzo veramente minimo della loop station, in una session acustica dove è emersa prepotente la sua splendida voce (Erica canta talmente bene che riesce addirittura a far dimenticare la sua bellezza) capace di riempire arrangiamenti minimali. È questa infatti la cifra del suo ultimo album Tienimi il posto (clicca qui per leggere la mia recensione), che non a caso è il lavoro che contribuisce in prevalenza alla scaletta dello show; ma anche i brani di album più elettrici quali il precedente Contro le onde non perdono un grammo della loro potenza riletti in chiave acustica.
Ed è quindi proprio la traccia iniziale di Tienimi il posto, Sottovoce, ad aprire il set. Un brano di grande atmosfera, ascoltato in religioso silenzio, quel silenzio evocato dal testo stesso che mette all’indice la vacuità e la volatilità delle parole: “se ci pensi meglio, c’è di meglio da dire”, meglio amarsi sottovoce. Erica la interpreta con tutta l’intensità di cui è capace, e quel “ti parlo nella testa” si fa strada come una lama sottile sotto la pelle del pubblico incantato. Un pubblico che con i due brani successivi può invece cominciare a canticchiare: l’allegra Romanzo storico (da Contro le onde) e soprattutto la bellissima e ironica Niente di niente, attraverso la quale Erica inizia a dialogare con il pubblico, confessando, appunto, di non sapere “niente di niente” (anche se qualche dubbio sul fatto che non sappia niente di musica rimane) e dando il via al leit motiv della sincerità, che farà da filo conduttore di tutta la serata.
Con Le macchie entra finalmente in scena la loop station, a creare il tipico pattern ipnotico che caratterizza il brano, pur discostandosi comunque parecchio dalle atmosfere trip-hop della versione album, e con questa splendida traccia, inizia anche il racconto della genesi dei brani di Tienimi il posto, cui Erica ha dedicato una serie di divertentissimi filmati su YouTube: «Le macchie – racconta sorridendo – nasce dalla mia incapacità di pretrattare, quando faccio il bucato», e le macchie che si svuotano al centro ma i cui contorni restano intatti diventano però la brillante metafora delle persone che proviamo a cancellare dalla nostra vita, ma non se ne vanno mai del tutto. Hai voglia ad aggiungere lo smacchiatore!
Uno dei momenti più toccanti della scaletta è la cover di La casa in riva al mare, con relativo aneddoto su come Erica pensasse da piccola che Lucio Dalla parlasse proprio della spiaggia della sua Bisceglie, come spesso accade ai bambini che cercano di ricondurre dentro al proprio mondo, rassicurante e conosciuto, tutti gli input che ricevono. Avevo già avuto modo di sentire la sua versione, ma riascoltarla interpretata in modo così intenso e sentito proprio nella città di Lucio e che Lucio ha segnato indelebilmente, be’ è stata una sensazione da pelle d’oca. Con Mettiti la maschera, primo singolo estratto da Contro le onde, il concerto prosegue sul tema del mare (uno dei temi più cari ad Erica), anche se la maschera in questo caso è utilizzata in maniera volutamente ambigua, sia per “cercare sul fondale il meglio dei nostri anni”, sia per nascondere la propria identità, quando le cose vanno troppo male: “ma come fai a respirare?”.
Per creare le atmosfere retrò di Se mi lasciassi sola, Erica si fa accompagnare dal violino di Valentino Corvino, per un brano che interpreta a metà tra la rabbia e la rassegnazione, sfidando il mondo a “prendere tutto, ma non il gusto di amarla un po’”, un mondo che non finirà certo per la conclusione di una storia d’amore, ma che ad ogni amore che finisce cambia in peggio. Poesia pura. Ma la comparsa sul palco di Valentino è anche l’occasione per coinvolgerlo in qualche gag, legata alla condivisa idea della perfezione delle donne, così racconta Erica, che pure, ammette, qualche difettuccio ce l’hanno anche loro. Per esempio quello di distrarsi nei momenti meno indicati, come quando i loro partner le baciano, come spiega bene Mentre mi baci (Scena madre), tratta ancora dal suo penultimo album e di cui Erica offre un’interpretazione leggera e ironica.
Sincerità, si diceva. Sincerità allo stato puro in Non sapevo mai mentirti, in cui lei non sapendo cosa rispondere a lui che le chiede come si sente, pur di non dovergli raccontare una bugia, non dice niente. Di nuovo il silenzio, come metafora dell’incomunicabilità, della separazione, del distacco. Un distacco così evidente che lui non riesce nemmeno a riconoscere il disagio della sua lei davanti alle sue insistenti domande. Un testo meraviglioso. Molto più leggera la successiva “confessione” di Erica: la sua passione per i Biscotti rotti che, a quanto pare, è condivisa da buona parte dei presenti. Una piccola, innocente mania che però, mentre con l’ausilio della loop station Erica fa partire la bossa nova, diventa una straordinaria metafora della bellezza dell’imprecisione e della complessità del percorso che si intraprende alla ricerca della persona giusta: “pescami e ricomponimi prima di mangiarmi”.
Ho scelto te, il primo singolo tratto da Tienimi il posto, è una delle rare concessioni al pop nella musica di Erica. Pop, poi, fino a un certo punto, perché anche quando il coro del ritornello diventa orecchiabile e il pubblico può provare a cantarci sopra (a proposito, avete mai provato a cantare insieme ad Erica un suo brano? Auguri!), rimane come un’aura di leggerezza ed ironia come se ci invitasse a non essere preso troppo sul serio. Il set poi si chiude con gli estremi, in senso temporale, della discografia di Erica: prima Giungla, il primo singolo estratto dall’album di esordio (al netto dell’inedito Bacio ancora le ferite) intitolato semplicemente È del 2011, che diede il via al tema delle abitudini, ripreso anche nel brano Indispensabile del nuovo album, poi la meravigliosa Nella vasca da bagno del tempo, inclusa nel repackaging dello stesso album l’anno dopo, che in un mondo ideale avrebbe stravinto a mani basse Sanremo Giovani nel 2012 e che invece dovette accontentarsi del terzo posto (tralascio commenti su quella classifica…), rivelando però al grande pubblico tutto l’immenso talento di Erica, autrice di un pezzo musicalmente splendido e con un testo di una maturità sorprendente per lucidità e capacità poetica.
E subito dopo, all’estremo opposto, gli ultimi due brani di Tienimi il posto: la malinconica ed amara Depositami sul fondo che mette ancora una volta in luce l’intensità interpretativa di Erica e poi la struggente title track, che Erica canta visibilmente commossa, mentre non si può non pensare a sua madre per la quale questo pezzo, e l’intero album, è stato pensato, come ha raccontato lei stessa: quando alla fine del brano Erica mette tutte le sequenze in loop e poi libera i palloncini attaccati alla sedia, proprio come sulla copertina dell’album, ci sentiamo tutti come se volassimo via con lei, a tenerle il posto. Un momento di rara intimità, che coinvolge ancora più intensamente chi, come me, ha dovuto percorrere suo malgrado lo stesso cammino di Erica.
Poi, visto che da un palco così improvvisato è anche difficile andarsene, senza tanti preamboli partono a stretto giro di posta i bis: subito l’imprescindibile perla Dove cadono i fulmini, che anche grazie al cinema (un amore corrisposto quello con il grande schermo) ha portato la voce di Erica Mou alle orecchie di tutta Italia, tant’è che nasce spontaneo un piccolo coro tra il pubblico, un po’ sgangherato per la verità, ma che Erica, bontà sua, ha voluto apprezzare (sempre per il discorso “provate voi a cantare una sua canzone”…), se non altro per la bella atmosfera che si era creata. Per poi chiudere il set con la sincopata Il ritmo (Frequenza obbligatoria), tratta anch’essa da Contro le onde ed espressamente richiesta da una ragazza del pubblico, e infine con il brano che diede origine a tutto: quella dolce e delicatissima Oltre che, ricorda Erica, il prossimo 8 aprile compirà dieci anni e che, dati anagrafici alla mano, risulta scritta esattamente a 16 anni e due giorni, un’età in cui la maggior parte delle ragazzine è occupata in tutt’altre attività piuttosto che scrivere piccoli capolavori. Ma la maggior parte delle ragazzine non sono Erica Mou.