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Ghemon, un successo scritto nelle stelle

Non scrivevo sul mio trascuratissimo blog da diversi mesi, d’altra parte l’astinenza da musica dal vivo (fonte di ispirazione primaria) e di nuove uscite cinematografiche o musicali (fonti di ispirazione secondarie) mi avrebbero obbligato a pubblicare una serie di articoli polemici e politici, su cui ho preferito soprassedere. Mi sono limitato a uno, e conservato rabbia e ironia per i social network.

Quello che serviva per uscire dal torpore emotivo di queste settimane era una grande uscita discografica, in grado di dare un senso a questo tempo monotematico in cui sembra non succeda niente, a parte la caccia a un minuscolo esserino di un centinaio di nanometri, e questo graditissimo e prezioso regalo ci è stato fatto da Ghemon, che dopo un solo terzo di 2020, si è già messo in saccoccia per distacco il titolo di album dell’anno con il suo Scritto nelle stelle.

Questo disco rappresenta senza alcun dubbio lo zenit artistico di Giovanni Luca (Gianluca per tutti) Picariello, coronamento di un lungo percorso che ha visto il cantante avellinese attraversare vari stili, diverse influenze musicali, ma anche difficili vicende personali mirabilmente raccontate nell’autobiografia Io sono. Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle che due anni fa ha rivelato Ghemon anche come scrittore dotato di una penna incisiva e graffiante, come da sempre suggeriscono i suoi testi. Un anticonformista vero, capace di presentarsi sul palco di Sanremo 2019 con il brano probabilmente più bello della rassegna (quella meravigliosa Rose viola di cui ricordiamo anche una memorabile versione con Diodato e gli amici Calibro 35) e di uscire con un album solo quattordici mesi dopo, “dimenticandosi” di cavalcarne l’hype. Un artista controcorrente (“il genio senza coraggio serve davvero a poco” dice probabilmente di sé stesso) che sceglie coraggoisamente di uscire con questo gioiello in un periodo come questo, nonostante l’impossibilità di “monetizzare” il momento attraverso firmacopie e concerti dal vivo.

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Sanremo 2019. Il mio pagellone.

Prima della finale e delle ovvie e scontate polemiche del “Doveva vincere Tizio”, “No doveva vincere Caio”, ecco la mia analisi semiseria dei 24 brani in gara.

ARISA 5,5

La media tra la divertente e divertita parte centrale (7) e le incomprensibili intro e coda (4). Per la serie “Come buttare nel cesso una buona idea”. Il duetto con Tony Hadley versione Stanlio e Ollio non ha aiutato. Peccato.

LOREDANA BERTÈ 7,5

Primo impatto stupefacente. Poi, ascolto dopo ascolto, attorno al formidabile hook del ritornello (che paga il suo debito a “Cosa vuoi da me?” di Samuele Bersani a sua volta cover di “Glastonbury Song”) l’impressione è che resti poca sostanza. Ma l’energia rock di Loredana sopperisce a tutto, bravissima! Bene anche con Irene Grandi.

BOOMBADASH 6,5

Ok, niente di originale nel classico reggaettino col suo bravo e ordinario levare, ma il brano è divertente e simpatico, scanzonato il giusto e fuori posto quel tanto che basta per strappare un sorriso. Con gente che si strappa i capelli per Achille Lauro, molto più convincenti loro.

FEDERICA CARTA e SHADE 4

Il classico pezzo che “spopolerà sul web” e, giusto in tempo per qualche kermesse estiva organizzata da Friends and Partners, avrà “totalizzato millemilamilioni di visualizzazioni su YouTube”. In sintesi: una ciofeca.

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La Top 5 degli album italiani del 2017

Cesare Cremonini, in testa alla mia Top 5 2017

Musicalmente il 2017 è stato un anno per lunghi tratti imbarazzante (soprattutto nel periodo estivo) ma, come spesso accade, per contraltare ha anche vissuto dei picchi di altissimo livello, peraltro concentrati nella prima e soprattutto nell’ultima parte dell’anno. In attesa di conoscere i primi lavori del 2018, già anticipati da alcuni ottimi singoli di recente uscita, ecco la mia personalissima (e quindi opinabilissima) Top Five dei migliori album dell’anno. A cominciare dagli italiani, tra cui avrebbero meritato una menzione anche A casa tutto bene di Brunori SAS e 709 di Caparezza.

1) Possibili scenari – Cesare Cremonini
Uno dei pochissimi artisti che dopo quasi vent’anni di carriera e sei album di inediti riesce ancora a migliorare e a migliorarsi. Possibili scenari è un album che sintetizza in dieci indimenticabili pezzi l’attitudine cantautorale tipica della tradizione italiana e la costante ricerca di un suono internazionale, personale e innovativo. Cremonini crea linee melodiche originalissime; fonde testi e musiche in un intreccio perfetto; stravolge e rivede la forma-canzone ideando nuove e originali strutture; utilizza tutti gli elementi a disposizione di un musicista preparato, colto e ispirato come lui:  strumenti acustici, strumenti elettrici, elettronica e orchestra. Capolavoro.
Perla: Nessuno vuole essere Robin

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