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Francesca Michielin, voce incantevole e talento purissimo

Francesca Michielin sul palco del Campus (foto Gazzetta di Parma)

Francesca Michielin sul palco del Campus (foto Gazzetta di Parma)

Cosa dire di un concerto che si apre con le sequenze, gli effetti e i beat elettronici di Battito di ciglia e si chiude con l’inconfondibile riff di chitarra di Whole Lotta Love? La risposta è nelle parole di qualche settimana fa della stessa Francesca Michielin, all’atto della presentazione del di20are Tour che ha fatto tappa al Campus Music Industry di Parma lo scorso 22 ottobre: «Mi sta molto a cuore il concetto di tesi-antitesi-sintesi – ha spiegato la cantautrice di Bassano del Grappa – mentre quella del Nice To Meet You Tour è stata solo un’antitesi perché mi ha dato la possibilità di stravolgere completamente il mio repertorio, rendendolo più scarno, e alcuni brani ne sono usciti trasformati».

Il riferimento è al tour precedente, che vedeva Francesca protagonista di uno spettacolo intimo e minimale in cui si trovava da sola sul palco alternandosi tra chitarra, pianoforte, timpani e loop station, con il risultato di stravolgere significativamente diversi pezzi rivisitati necessariamente in chiave acustica. In questo nuovo show, Francesca è invece accompagnata da una vera band di quattro elementi (i giovanissimi Eugenio Cattini – chitarra, Luca Marchi – basso e Maicol Morgotti, batteria, ottimamente diretti dal “direttore musicale” e tastierista Luchi Ballarin) che regalano un suono ben più potente (non solo nella citata cover dei Led Zeppelin) e moderno, arricchito com’è dai drum pad, dalle sequenze e da una ampia gamma di effetti su strumenti e voce.

Ecco, se proprio vogliamo trovare qualcosa che non convince è proprio il secondo microfono effettato che Francesca alterna con quello “pulito”: non so se sia trattato di un problema tecnico o della posizione in cui mi trovavo ma degli effetti si sentiva veramente poco, se non nulla. Ma a prescindere da questo, l’ambizioso piano della Michielin di mettere insieme tutte le sue anime, i suoi riferimenti musicali anche quando sembrano essere in palese contraddizione tra loro e trovarne la sintesi è perfettamente riuscito. Da una parte, si diceva, una precisa e approfondita ricerca sonora per trovare il vestito giusto per ogni pezzo con un evidente maniacale lavoro di studio, poi trasposto nei live grazie alle sequenze, dall’altra la passione per il ruvido suono rock’n roll. Da un lato un lavoro di songwriting incredibilmente maturo per una ragazza di appena 21 anni, dall’altro straordinarie doti di cantante pura (d’altra parte non si vince X Factor a 16 anni se non si sa cantare) nell’interpretare i pezzi scritti per lei da autori importanti, Elisa su tutti, e nel rileggere con personalità e originalità cover mai banali, a dimostrazione di una cultura musicale ben sopra la media non solo di una giovane ragazza della sua età, ma anche di musicisti ben più scafati di lei.

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Classe ed eleganza al potere: il live dei Landlord al Biko Club

I Landlord sul palco del Biko Club

I Landlord sul palco del Biko Club

Dopo il breve assaggio acustico al meet & greet del Semm di Bologna, finalmente ho avuto l’opportunità di ascoltare un intero set dei Landlord, giunti alla terza tappa dell’Aside Tour dopo i pienoni registrati al Covo, sempre di Bologna, e soprattutto al Velvet della loro Rimini: ogni tanto qualcuno propheta in patria riesce ad esserlo. Il club scelto per la tappa milanese è invece il piccolo Biko, di cui un’emozionata Francesca ricorda un episodio di proprio un anno fa: da spettatrice venne ad assistere al concerto di James Vincent McMorrow, e mentre ascoltava uno dei suoi artisti preferiti, sognava di esibirsi proprio su quello stesso palco, così vicino e a contatto con la gente. Un anno più tardi, dopo aver lasciato il politecnico, frequentato il loft più famoso d’Italia e inciso il primo lavoro con la sua band, ecco che quel desiderio si realizza. Il piccolo palco fatica a contenere tutti gli strumenti della band ed è adornato con otto lampade che rendono ancora più intima l’atmosfera, il pubblico è veramente a poco più di un metro di distanza e se nessuno fa un passo ulteriore verso il palco è solo per pudore, per non invadere uno spazio che deve essere doverosamente lasciato agli artisti. Ma siamo tutti lì, incantati dal magnetismo di Francesca; ammirati dalla poliedricità di Gianluca che passa con disinvoltura dalla chitarra alle tastiere e poi ancora all’harmonium; rapiti dai ricami di Luca alla chitarra e dalla sua presenza discreta ma fondamentale come seconda voce; impressionati dai pattern di Lorenzo, che ora picchia con decisione sulle pelli, ora trova suoni elettronici in punta di bacchetta.

La scelta stilistica è infatti quella di riprodurre il più fedelmente possibile il suono che abbiamo potuto apprezzare nell’ottimo primo EP, uscito poco più di un mese fa per Inri Metatron ed intitolato appunto Aside; un suono ricco e pieno senza mai essere saturo, curato nei minimi dettagli e frutto di una costante e quasi maniacale ricerca dell’equilibrio tra parti suonate ed elettronica: il giusto tappeto sonoro per valorizzare la voce calda e delicata di Francesca, che si muove negli spazi lasciati liberi da una musica che non può e non vuole arrivare a riempire le frequenze. Suoni che brillano per raffinatezza ed eleganza, e che in Italia sarebbero classificati come alternativi e indie ma che nel mondo britannico e anglofono fanno invece parte di una corrente importante ormai diventata mainstream, come dimostra il grande numero di artisti che ne fanno parte a vario titolo.

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La crescita costante di Violetta Zironi

Violetta Zironi sul,palco di Vinitaly (© Paola Conti)

Violetta Zironi sul,palco di Vinitaly (© Paola Conti)

Dopo diversi mesi di astinenza durante i quali, per vari motivi, non ho avuto la possibilità di assistere a concerti di Violetta Zironi non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di una doppietta in terra veneta, unita all’opportunità di abbinare due suoi concerti a un weekend tra le bellezze di Padova e Verona. Sia sul palco un po’ improvvisato dell’Osteria Barabba di Padova, sia su quello ben più strutturato di Piazza dell’Arsenale di Verona, nell’ambito degli eventi di Vinitaly and the City, Violetta si è trovata perfettamente a suo agio, esibendo un repertorio rinnovato ma come sempre fedele alle sue radici e al suo percorso musicale. E ho potuto constatare, non che ci fosse bisogno di un’ulteriore conferma, che Violetta è ormai diventata una one-girl band, in grado di reggere da sola qualsiasi palco, forte solo della sua voce, della sua chitarra e del suo ukulele.

Quella che si propone al pubblico veneto, quindi, è una Violetta già molto cresciuta e maturata rispetto a soli pochi mesi fa e la cui crescita continua inesorabile e incessante grazie alle preziose esperienze che sta collezionando in Italia e in tutta Europa: le recenti date a Berlino, Parigi e Londra; le tappe italiane, e non solo, ospite dell’amico Jack Savoretti, al cui tour continua a partecipare; le sessioni di songwriting con Pedro Vito, il chitarrista dello stesso Savoretti; le tante partecipazioni a Radio 2 Social Club con Luca Barbarossa su Radio 2.

Violetta imbraccia la sua Epiphone acustica (riducendo, giustamente, il numero di pezzi che interpreta con l’ukulele) e guida il pubblico in un viaggio lungo la strada della sua musica, che parte da radici lontane e a stelle e strisce, ma che poi approda fino ai giorni nostri, unendo il piacere della modernità al gusto per le meraviglie del passato: così country, bluegrass, blues e rockabilly si mescolano e si alternano fino a sfociare in maniera del tutto naturale nei brani originali composti da Violetta, che reinterpretano la tradizione arricchendola di elementi contemporanei, e tra cui spicca la splendida Every Little Ghost che rimane intatta in tutta la sua forza e intensità anche in versione voce e chitarra, dopo averla conosciuta nel bellissimo arrangiamento brit-pop fatto con la Social Band proprio a Radio 2.

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L’eliminazione dei Landlord e l’inesorabile declino di X Factor

I Landlord sul palco di X Factor

I Landlord sul palco di X Factor

Chi mi conosce sa che fino a due anni fa la mia opinione sui talent show a tema musicale era fortemente condizionata da un enorme pregiudizio nei confronti degli show stessi. Un’opinione che onestamente non è mai mutata per quanto riguarda gli infinitesimali frammenti di trasmissione che mi sono capitati davanti agli occhi di The Voice, Amici di Maria De Filippi o robe simili. Né le performance dei personaggi usciti da questi programmi sono mai riuscite a convincermi della bontà di queste competizioni, anzi hanno piuttosto consolidato i miei pregiudizi e con loro la mia avversione.

Poi nel 2013 mi capitò per caso di imbattermi nelle audizioni di X Factor e soprattutto di imbattermi nella travolgente esibizione di Violetta Zironi (splendida protagonista nel suo graditissimo ritorno ieri sera) quando cantò un’entusiasmante Shortenin’ Bread accompagnandosi con l’ukulele. Decisi allora di seguire il programma, solo e soltanto per lei, e mi dovetti presto stupire di aver scoperto una trasmissione ben fatta, ben confezionata, ottimamente condotta dal bravissimo Alessandro Cattelan e che dava il giusto valore alla musica, presentata in modo ineccepibile, almeno in quella edizione. Certo, di artisti del valore di Violetta in gara ce n’erano pochi, o meglio, non ce n’erano proprio, a prescindere da chi si aggiudicò i primi posti in classifica, ma dal mio punto di vista non speravo certo di trovare i nuovi Bono Vox e Bruce Springsteen in un talent show. C’era Violetta e c’era un programma ben fatto. Tanto bastava.

A distanza di soli due anni e con il giro di boa della nona edizione già alle spalle con cinque degli otto live previsti ormai completati, si può tracciare un primo bilancio di X Factor 9 e l’impressione che emerge è che il sistema sia andato in corto circuito, e che le poche sacche di resistenza dentro le quali cerca di difendersi la musica di qualità siano solo la rappresentazione paradigmatica della schizofrenia di un programma che cerca di mantenersi in bilico tra i Duran Duran e Franco Battiato da una parte e i 5 Seconds Of Summer e Justin Bieber dall’altra, ma che è fatalmente strutturato per creare dei Justin Bieber e non certo dei Simon Le Bon.

Ma quali sono quindi le cause di questa deriva? Proviamo ad andare con ordine.

Se l’aggettivo più insopportabile di X Factor è di certo credibile, l’avverbio che ho imparato ad odiare profondamente nel corso delle puntate è senza dubbio discograficamente. Discograficamente guida le scelte dei concorrenti, discograficamente suggerisce le assegnazioni, discograficamente decreta la sorte degli eliminati. Il problema è che discograficamente significa tutto e niente, per il semplice motivo che nel momento in cui vengono prese decisioni basate sulle potenzialità di un concorrente rispetto al mercato, non ci si rende conto che questo mercato non solo è quello che si è contribuito a creare con le stesse scelte passate che si sono compiute (ed ecco il corto circuito), ma che in realtà del mercato questa è solo una fetta, e non è neanche detto che sia la fetta più sostanziosa perché di gente che ascolta tutt’altra musica e che la compra legalmente rispetto al “modello X Factor” e che assiste a tutt’altri concerti è piena l’Italia ed è pieno il mondo, anche volendo restare nell’orbita del mainstream che comprende musica di alta e bassa qualità in proporzioni quasi uguali.

E anche volendo ragionare in termini di puro marketing, come si fa a parlare di mercato musicale come un unicum, quando è invece uno dei più segmentati che si possa immaginare? Arrivando all’attualità, dell’assurda eliminazione dei promettentissimi Landlord parlerò più avanti, ma come spiegare l’eliminazione dell’ottimo Massimiliano D’Alessandro addirittura in prima puntata, se non per il fatto di non avere l’età e il physique du rôle che la produzione immagina per il suo vincitore modello? Ma allora, in ultima analisi, che senso ha mantenere in vita la categoria degli Over quando l’obiettivo è evidentemente quello di trovare l’ennesimo ragazzino da dare in pasto ad altrettanti ragazzini? Se a X Factor hanno deciso di rivolgersi solo a un determinato target (che poi è quello del concorrente Amici), sarebbe veramente più onesto abolire la categoria dei “vecchi” over 25 oppure limitarla a un’età massima o a un minimo di figaggine acchiappa-ragazzine (vedi alla voce G come Giosada, peraltro ottimo). Sempre restando in ottica mainstream, viene da pensare che se a un ipotetico X Factor 1988 si fosse presentato Luciano Ligabue, sconosciuto ventottenne con alle spalle qualche data in giro nel reggiano con gli Orazero, cantando Neil Young voce e chitarra, molto probabilmente non sarebbe arrivato nemmeno ai bootcamp.

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Violetta riconquista il Fuori Orario.

Violetta sul palco del Fuori Orario.

Violetta sul palco del Fuori Orario.

È passato quasi un anno dal concerto di Violetta del 9 maggio 2014 al Fuori Orario, il primo vero evento tutto suo dopo la partecipazione a X Factor, e non è certo passato invano. Questa è la sensazione che ha accompagnato il ritorno della ragazza con l’ukulele sul prestigioso palco del locale di Taneto dove ha regalato una decina di brani al pubblico numeroso e partecipe che attendeva il concerto dei Rio, forte di una nuova consapevolezza e di una proposta musicale dall’identità ben definita e delineata, radicata nel pop più elegante e d’autore. Violetta ha trascorso questi mesi suonando e cantando in giro per l’Italia nelle situazioni più diverse, ma soprattutto lavorando su sé stessa come cantante, come musicista e come autrice, respirando l’aria della contemporaneità per arrivare a definire un percorso artistico e una cifra stilistica personale, per portare a compimento l’indimenticata definizione-manifesto data di lei da Mika: “allo stesso tempo vintage e moderna”.

Sul palco del Fuori Orario, accompagnata da due giovani e talentuosi musicisti come Luca Marchi al basso e Maicol Morgotti alla batteria e alle percussioni, ha quindi portato ampi stralci di questo suo nuovo manifesto musicale, accantonando per una volta il repertorio blues, country e bluegrass, e scegliendo di offrire al pubblico i suoi nuovi riferimenti nella modernità e soprattutto i primi frutti della sua vena creativa. Rivelando così una maturità compositiva disarmante e sorprendente per una ragazza che compirà vent’anni solo tra due settimane, come ha dimostrato la vivace A te che dici che mi ami, già presentata in altre occasioni, ma che arricchita dalla sezione ritmica ha espresso tutta la sua freschezza e immediatezza, e tutta la leggerezza di un testo scanzonato (ma non banale) che parla della fine di una storia d’amore con l’ironia e la levità sdrammatizzante che si deve a una storia tra giovanissimi.

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X Factor, il trionfo di Lorenzo Fragola

Lorenzo Fragola con il trofeo del vincitore

Lorenzo Fragola con il trofeo del vincitore

È finita come da pronostico: per una volta il vincitore annunciato fin dalle audizioni è uscito dal conclave del Forum ancora papa e non retrocesso a cardinale come spesso è accaduto. Anche se, secondo i dati del televoto, Lorenzo Fragola ha superato per una sola incollatura (51,74 % contro 48,26 %) il compagno di scuderia Madh con cui ha condiviso lo scontro finale per aggiudicarsi il titolo di X Factor 8.

Quella di Lorenzo, il cui talento rimane indiscutibile, non è stata pertanto una cavalcata trionfale, nonostante sia stato costantemente davanti a tutti nel televoto in tutte le manche di tutte le puntate esclusa la prima del sesto live in cui è stato superato proprio da Madh. A riprova di un sostanziale livellamento (se verso l’altro o verso il basso lo dirà la storia) di questa edizione, soprattutto dopo l’assurda eliminazione di Emma Morton, di sicuro la presenza più interessante dell’annata per personalità, presenza, voce e maturità. A guardare i dati, Emma è stata decisamente mollata dal pubblico dopo la sua Daddy Blues, che pure essendo di gran lunga il migliore tra i brani originali presentati dai concorrenti, evidentemente non era adatto al pubblico eccessivamente pop della trasmissione. Una volta esclusa Emma dalla finale, c’era una buona ragione per tutti e quattro i finalisti per meritare il successo. E c’era allo stesso modo una buona ragione per non meritarlo.

Mario, per esempio, era il protagonista meno atteso della finale e come da copione ha salutato la compagnia dopo il suo duetto con Arisa, che potenzialmente aveva tutte le chance per essere il migliore della serata ma alla fine è risultato un po’ sotto tono. La vittoria di Mario sarebbe stato il trionfo del cantautorato viscerale e sincero contro i lustrini del pop patinato che inevitabilmente permea questo come altri talent show. Un trionfo che Mario avrebbe meritato per essersi messo alla prova anche con pezzi in inglese e lontanissimi dal suo mood senza però mai perdere la sua identità e difendendo sempre e comunque la sua scelta di stile. D’altro canto, credo che per tutto quanto premesso, Mario Garrucciu fosse il primo a sapere che quello di X Factor non fosse certo il suo habitat ideale, che la sua immagine poco glamour e la sua musica legata alla tradizione (nel senso più nobile del termine) non avrebbe fatto impazzire né il pubblico né la Sony, che infatti non si è neppure sognata di pubblicare il suo EP. A dimostrazione di questa discrasia tra la sua attitudine da cantautore folk e il mondo dei talent show c’è la brutta fine che ha fatto il suo ottimo brano All’orizzonte nelle mani dell’industria discografica.

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Semifinale di X Factor, Emma incanta… e va a casa!

Emma Morton canta il suo inedito Daddy Blues

Emma Morton canta il suo inedito Daddy Blues

La semifinale di X Factor ha condensato nel breve volgere di un paio d’ore tutte le sorprese che invece erano mancate nei due live precedenti. E purtroppo, sempre dal mio personalissimo punto di vista, il saldo tra le sorprese positive e quelle negative dà un totale che fa pendere la bilancia decisamente dalla parte sbagliata.

Sul piatto buono c’è Mario, giunto inaspettatamente al palco del Forum contro ogni previsione, compresa la mia. Forse Mario non è tra i migliori quattro, non lo è certamente per potenzialità discografiche al di fuori della competizione, però io sono strafelice del suo approdo in finale. Mario è la rivincita della musica viscerale, sanguigna, sincera e priva del gloss da rivista patinata che sembra rivestire altri concorrenti: solo voce e chitarra e qualcosa da dire, per citare Bob Dylan (e a questo proposito la produzione della sua All’orizzonte non gli ha certo reso un gran servizio).

A me Mario ricorda il giovane Springsteen, non posso non amarlo. E sono felice che abbia dimostrato che il pubblico della musica (e anche dei talent show, per lo meno di questo) non sia composto esclusivamente da teenager in tumulto ormonale, che pure restano la maggioranza visti gli esiti del televoto. Poi ci sta tutto: che è classico, che fuori dallo stile cantautorale fa fatica, che non è un innovatore, che non ha il fisico da popstar… ma onestamente, nella storia della musica italiana c’entra più lui o Madh?

Sulla parte sbagliata del piatto c’è però Emma. E qui la sorpresa si moltiplica all’ennesima potenza, non solo perché tutti i bookmaker ormai la davano come la grande favorita per la vittoria finale, ma soprattutto perché esce dopo aver portato sul palco il più bello tra i brani originali della semifinale, dopo averlo cantato alla grandissima e dopo aver regalato un’altra perla nella seconda manche con la sua magnifica interpretazione di Love Is A Losing Game.

Difficile capire cosa possa essere successo al televoto; forse le ragazzine, una volta perso Leiner, hanno massimizzato i voti su Lorenzo e Madh facendoli volare, mentre Mario (come Lorenzo) ha beneficiato del fatto che il suo “inedito” non fosse inedito. Molto chiaro, invece, quello che è successo tra i giudici dopo l’ultimo scontro, quando le beghe da asilo e le strategie hanno purtroppo prevalso sul mero giudizio sul talento. Fedez voleva Emma fuori e ha ottenuto il suo scopo, riuscendo perfino a far credere che la colpa fosse di Morgan, il quale dal suo canto era così ostentatamente disinteressato alla vicenda che non si è nemmeno accorto di essere stato usato dal suo rivale. Spiace che queste cose, oltre a minare la credibilità di un talent show che finora si era elevato per qualità rispetto ad altri programmi, avvengano sulla pelle dei ragazzi in gara, che andrebbero valutati a prescindere dalla squadra di appartenenza.

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Apocalypse Night, a X Factor la conferma di Mario

Mario nel live show della quarta puntata

Mario nel live show della quarta puntata

Nonostante Il pomposo titolo di Apocalypse Night, non è poi successo granché nel quinto live di X Factor: se ne sono andati a casa gli ampiamente pronosticati Riccardo e Vivian con grande sorpresa di… nessuno! Tant’è che i quattro giudici se la sono suonata e cantata tra di loro, ridendo e scherzando senza alcun accenno neppure vagamente polemico.È successo però che è stata la serata della débâcle dei favoriti con due seconde manche bruttine da parte di Lorenzo ed Emma. Niente di terribile, ci mancherebbe, ma avendoci abituati a standard molto alti l’abbassamento di livello è risultato molto evidente. Chi avanza come un treno è Mario che in un mondo ideale avrebbe già la finale in tasca mentre nel subdolo mondo del televoto dovrà sudarsela non poco, perché lui evidentemente non ha l’appeal giusto per il pubblico medio di X Factor e non fa impazzire le ragazzine come Lorenzo e Madh. Resta il fatto che è sembrato l’unico degno di condividere il palco con Francesco De Gregori (voto 10, già che ci siamo).

Un paio di considerazioni generali prima di passare alla esibizioni. La prima manche è stata evidentemente partorita da una mente malata: mi chiedo come sia possibile giudicare una performance di un minuto per di più legata alle altre senza soluzione di continuità, e cantata dentro le caselle del Gioco dei Nove (copyright del mio amico Max). Credo sia evidente che il pubblico abbia votato i propri preferiti a prescindere dall’esibizione che è stata svilente per tutti, anche se qualcuno ha trovato comunque il modo di emergere. In secondo luogo, mi chiedo come sia possibile sminuire “piccoli problemi di intonazione” (meglio noti come “stecche da karaoke in un villaggio Valtur”) in un talent show che dovrebbe veder vincere il cantante migliore. Ok le piccole imprecisioni non inficiano una bella esibizione se è ricca di altri elementi, sono il primo a sostenerlo, ma un minimo sindacale di intonazione dovrebbe comunque essere previsto.

Ah! Ovviamente Morgan era regolarmente al suo posto. Ma seriamente, chi ne dubitava?

 

Leiner

The First Cut Is The Deepest – Cat Stevens

Fireflies – Owl City

Dopo l’exploit (nel mio personalissimo cartellino) della scorsa settimana, Leiner ritorna nella sua aurea mediocritas nella prima manche, poi si segnala con un cedimento importante nella seconda manche dove stona parecchio, ma così tanto che se ne accorgono anche a casa e lo spediscono all’ultimo scontro. Poi penso che anch’io col raffreddore avrei fatto meglio di Vivian ieri sera, quindi si salva. Finora ha galleggiato, ma se non cambia passo, finiti i Riccardo e le Vivian toccherà a lui fare le valigie.

Voto: 5

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X Factor 8, gli over di Mika incantano

La squadra di Mika è stata protagonista dell’ultimo live show

A X Factor è stata la serata del trionfo di Mika e della sconfitta, con immancabile polemica, di Morgan che per la seconda volta si è ritrovato due gruppi al ballottaggio e ha dovuto quindi perdere gli Spritz For Five e ha così deciso di lasciare (definitivamente?) il programma, con una mossa ampiamente prevedibile e infatti anticipata dal pubblico in rete. Giusto due parole su Morgan, per poi passare alle esibizioni che sono ciò che più mi interessa: questa volta l’istrionico giudice ha in gran parte ragione nel merito, ma non ne ha affatto nel metodo. Ha ragione in generale quando parla di una diffusa mancanza di qualità e di cultura musicale sia nelle assegnazioni degli altri giudici (con apprezzabilissime eccezioni, sia chiaro), sia nei giudizi del pubblico in studio come a casa che tende a privilegiare le cose più pop e semplici. Ha poi ragione nel particolare perché posto che gli Spritz For Five hanno strameritato il ballottaggio e l’eliminazione, nella seconda manche invece diversi concorrenti, a cominciare da Riccardo, avrebbero meritato l’ultimo posto ben più dei Komminuet che hanno offerto una buona performance.

Non ha invece affatto ragione nel metodo perché il gioco è questo e lo conosce bene, deve giocare con queste regole e non può andare casa con il pallone solo perché gli fischiano un rigore contro; ma soprattutto deve fare mea culpa perché, come ho già avuto modo di scrivere, non si è ancora reso conto che il suo apprezzabile intento di utilizzare X Factor per fare divulgazione musicale è diventato in realtà un inutile citarsi addosso e una stucchevole celebrazione del proprio ego con effetti drammatici sui suoi concorrenti, peraltro mal selezionati fin dai boot camp e in alcuni casi non meritevoli di quel palco fin dall’inizio.

Ancora una volta, poi, la scelta della puntata a tema lascia non poco perplessi: gli stessi messaggi arrivati durante la settimana sono stati contradditori, si è parlato di canzoni censurate, di canzoni scomode, di tolleranza, di canzoni contro razzismo, bullismo, violenza, contro l’odio per il diverso. Alla fine ci è finito dentro un po’ di tutto con non poche giustificazioni da arrampicatori di specchi. Giustissime le intenzioni, quindi, ma tema rimasto un po’ vago e generico e svolgimento tutto da rivedere.

Venendo finalmente alla gara, la serata ha visto la vittoria in termini numerici di Fedez, che conferma i suoi quattro concorrenti, ma soprattutto il trionfo in termini qualitativi di Mika e dei suoi Emma e Mario che hanno regalato due esibizioni impeccabili.

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X Factor 8, Emma balla da sola

Emma Morton durante l'esibizione di giovedì sera.

Emma Morton durante l’esibizione di giovedì sera.

Con colpevole ritardo (ma Ubi Caesar, X Factor cessat come già sostenevano gli antichi romani) arrivano anche le mie pagelle del terzo live, una puntata a tema che, come da tradizione, riesce solo a metà. Per essere generosi. Ad ogni edizione, infatti, la produzione ci riprova con il tema dance e, a dimostrazione che è proprio vero che la storia non insegna nulla, ad ogni edizione immancabilmente la puntata fa flop. Già i giudici fanno pasticci quando devono scegliere un brano liberamente, figuriamoci intrappolati in una definizione che da una parte copre una miriade di generi molto diversi (tanto che la polemica del “il mio brano è dance, il tuo no” riemerge ogni volta puntuale come le bollette), dall’altra sembra pensata apposta per sminuire le qualità vocali della maggior parte dei concorrenti.

D’altra parte le canzoni da discoteca (ballabili, disco, dance… scegliete voi il termine preferito) sono per definizione iperprodotte, sature di suoni che coprono tutte le frequenze, le armonie semplici e le melodie molto lineari. Difficile emergere con un’interpretazione vocale emozionante. L’unica che ci riesce, tanto per cambiare, è Emma Morton, complice un pezzo una spanna sopra gli altri per struttura, melodia e tiro. Con una menzione particolare per i Komminuet, autori di una performance brillantissima e senza sbavature.

In generale, un consiglio alla produzione che pare voler insistere con le serate a tema (anche la prossima avrà come tema la tolleranza): scegliete periodi musicali (la puntata anni ’90 dell’anno scorso fu molto buona), scegliete una buona volta la musica italiana (finora solo 4 brani su 35), scegliete un tema (a X Factor UK hanno scelto per esempio le colonne sonore di film), scegliete quello che volete ma lasciate stare la dance.

Ilaria

Get Lucky – Daft Punk

Alla faccia del coraggio di osare, Victoria sceglie il pezzo più banale possibile per la sua Ilaria: già cantata, coverizzata e ballata da chiunque era praticamente impossibile aggiungerci qualcosa. In più, bisogna dar ragione a Morgan che come giudice balbetta ma come critico musicale le azzecca tutte, tolta la chitarra funky di Nile Rodgers del brano non resta più niente. Questo non è certo colpa di Ilaria che però in mezzo a tutta questa destrutturazione un po’ si perde, e stranamente risulta più imprecisa del solito. Se la cava con mestiere ma la sua esibizione è lontana dai suoi consueti alti standard.

Voto: 6 Continua a leggere